La comunicazione tra membri della stessa famiglia, oggi, passa molto attraverso cellulari o tablet. Ponendo inediti interrogativi sull’incontro tra relazioni e digitale
Sempre più spesso, nella quotidianità delle famiglie, le relazioni interpersonali vissute fianco a fianco si mescolano con la comunicazione online che avviene tramite dispositivi digitali. Questa tendenza all’ibridazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, influenza i rapporti familiari, li modifica, e pone nuovi interrogativi sui modelli educativi e sui rapporti intergenerazionali.
«Il processo di digitalizzazione della vita quotidiana è ormai avviato da tempo – ha spiegato a 50&Più Francesco Belletti, direttore del Cisf, Centro Internazionale Studi Famiglia – e il punto di svolta è stato il 2007, quando lo smartphone è diventato uno strumento personale in mano ad ogni componente della famiglia. Nel corso di questi ultimi anni, le famiglie italiane hanno fatto i conti con una nuova modalità di vivere le relazioni, i rapporti a distanza, le comunicazioni e, nel complesso – a livello europeo -, sono state più prudenti nei processi di digitalizzazione; altrove sono stati molto più radicali».
Cosa comporta la digitalizzazione nell’ambito della comunicazione familiare?
Spesso oggi si parla di vita “onlife”, facendo riferimento alle esperienze vissute ogni giorno mentre si resta connessi a dispositivi e ambienti digitali. Si tratta di un processo a doppio risvolto, con manifestazioni positive in alcuni casi, negative in altre. Per esempio, durante la pandemia, quando non ci si poteva incontrare di persona, tantissimi anziani ospiti delle RSA o chiusi in casa per il lockdown sono riusciti a restare in contatto con i familiari tramite telefoni e tablet. Questo ha dimostrato che anche la generazione anziana, se adeguatamente accompagnata, è capace di usare il digitale. In negativo, per qualcuno il digitale è un’occasione di reclusione, soprattutto fra gli adolescenti: pensiamo al fenomeno degli “hikikomori” in Giappone, riguarda più di un milione di persone che restano chiuse per giorni, anche settimane in casa, per rimanere ininterrottamente connessi, ed uscire solo per le necessità più strette. La digitalizzazione delle relazioni è stata un passaggio importante, è un fenomeno ormai inarrestabile, che presenta delle grandi opportunità ma anche dei rischi, sui quali ragionare nel quotidiano familiare.
Come comportarsi con i minori, rispetto all’uso delle nuove tecnologie e alla comunicazione mediata dai dispositivi?
L’esposizione ai media digitali va accompagnata da chi è responsabile educativo, non si può affidare uno strumento così potente all’autonomia dei minori. Si tratta di un compito davanti al quale molti genitori fanno fatica, perché la soluzione non è proibire, ma insegnare un uso adeguato e intelligente, perché ci sono dei rischi anche solo nell’eccesso di uso, non solo rispetto agli incontri che si possono fare, alle scene che si possono vedere, ai fenomeni di sexting o di cyberbullismo. Quindi è una priorità aiutare i genitori a parlarne, a formarsi su come accompagnare i figli, per il benessere delle famiglie.
Come comunicano in famiglia le giovani generazioni di nativi digitali con i più adulti?
Questo è un punto interessante perché rivoluzionario rispetto a tutta la storia dell’umanità finora vissuta: fino a pochi decenni fa, le generazioni più adulte ne sapevano sempre di più rispetto ai giovani. Oggi, invece, gli adulti fanno spesso la figura dei non competenti rispetto alle modalità di utilizzo di questi strumenti, che sono complessi da apprendere ma molto intuitivi e quindi gestibili in maniera semplice dai più piccoli che hanno una maggiore acculturazione digitale. Il digitale sfida i modelli educativi, perché l’autorevolezza dei genitori viene messa in discussione.
Possiamo stilare un identikit delle famiglie più “tecnologiche”?
Più il livello di istruzione è elevato, più cresce l’esposizione al digitale; anche il livello di reddito ha una sua correlazione, come pure l’età dei genitori, perché cominciano ad esserci fra i genitori non ancora i nativi digitali, ma comunque persone che passano in rete molto tempo. L’area geografica conta, ma con differenze non tanto fra Nord e Sud, quanto piuttosto piccoli centri e aree metropolitane, dove chi vive nelle grandi città è più esposto alle nuove tecnologie. Un aspetto interessante è che la spesa per il digitale è uguale per tutti i livelli di reddito, e chi ne ha uno basso tende a sacrificare altri consumi, ma ritiene un bene indispensabile quello tecnologico. Qui entra in gioco anche il tema dello status, e non è solo una questione di regole, ma anche di cultura del consumo: quando si tratta di acquistare un device digitale non si bada a spese. Nella nostra indagine abbiamo rilevato che ci sono famiglie in condizioni di marginalità, economicamente svantaggiate anche dal punto di vista informatico, ma mediamente anche i nuclei con reddito basso sono molto attenti a questo tipo di consumi. L’ingresso del digitale nella vita quotidiana delle famiglie è un fattore unico, che offre possibilità e creatività di gestione di questi strumenti dentro le relazioni familiari, il punto è non trasformare tutta la rete di relazioni interpersonali in una rete digitale, perché c’è una bella differenza fra essere connessi e essere in relazione.
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