«Anche di fronte alle difficoltà di oggi e di domani, io ho ancora un sogno. Un sogno profondamente radicato nel sogno americano… Io ho un sogno, che un giorno questa nazione possa rialzarsi e testimoniare il vero senso del suo credo: “Reputiamo di per sé evidente questa verità, che tutti gli uomini sono stati creati uguali”. Io ho un sogno, che un giorno, sulle rosse colline della Georgia, i figli degli schiavi di un tempo e dei padroni di un tempo potranno sedere insieme alla tavola della fratellanza.»
È uno fra i tanti passaggi memorabili di uno dei discorsi più famosi della storia dell’umanità. Il 28 agosto del 1963, giusto sessant’anni fa, il reverendo Martin Luther King, allora trentacinquenne campione della lotta per i diritti civili degli afroamericani, si rivolse così ai manifestanti assiepati sulla spianata del Lincoln Memorial di Washington, al termine della “marcia per il lavoro e la libertà”. L’America di John Fitzgerald Kennedy assisté alla più grande manifestazione mai tenuta nella capitale: 250.000 persone (il 75% delle quali afroamericane) marciarono per chiedere pari diritti tra bianchi e neri.
“I have a dream”: cent’anni dopo l’abolizione della schiavitù
A cento anni dall’abolizione della schiavitù, da parte di quello stesso presidente Lincoln sul cui memoriale gli attivisti si radunarono, gli afroamericani subivano ancora pesanti discriminazioni in ambito civile, politico ed economico. La segregazione era legale o almeno tollerata in molti Stati e costituiva la regola nel sud del Paese, la dura repressione delle forze dell’ordine si abbatteva sulle proteste degli afroamericani, spesso impossibilitati a esercitare il diritto di voto a causa di violenze e intimidazioni e in alcuni casi esclusi dai matrimoni con individui di “diversa razza”.
La manifestazione
Organizzata dal sindacalista Asa Philip Randolph e dall’attivista Bayard Rustin (un maestro della non violenza per lo stesso Martin Luther King), la “grande marcia di Washington” riunì i sei principali movimenti non violenti che si battevano per i diritti civili degli afroamericani. Alla fine della manifestazione i leader dei comitati di lotta furono ricevuti alla Casa Bianca dal presidente Kennedy, che ne ascoltò proposte e rivendicazioni.
“I have a dream” ebbe un ruolo fondamentale nell’approvazione del Civil Rights Act del 1964, un provvedimento presentato da Kennedy e firmato dal successore Johnson che rendeva illegale la segregazione degli afroamericani e la loro discriminazione sul lavoro e nelle procedure di voto. La sezione del discorso che comincia con la celebre frase è in realtà solo la parte finale di un intervento della durata complessiva di 17 minuti: King, vuole la leggenda, la improvvisò quasi completamente mettendo via gli appunti e rispondendo all’invito della cantante Mahalia Jackson, che continuava a gridargli “Parla del sogno, Martin!”.
“I have a dream”, il discorso dei liberi e dei coraggiosi
Capolavoro di retorica, che mescola la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti col Vecchio Testamento e Shakespeare, “I have a dream” risuona ancora oggi nelle orecchie dei “liberi e coraggiosi” di tutto il mondo.
«Io ho un sogno, oggi! Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, e ogni collina e montagna rasa al suolo, i luoghi più aspri saranno spianati e le storture raddrizzate; e la gloria del Signore sarà rivelata e tutta la carne umana la scoprirà abbracciata. […] Con questa fede, riusciremo a cavare dal monte dello sconforto una pietra di speranza. Con questa fede, riusciremo a trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una stupenda sinfonia di fratellanza»
© Riproduzione riservata