Eco-ansia, è il disturbo che colpisce giovani e adulti profondamente preoccupati per le sorti del Pianeta. Di questo si parlerà durante la giornata dell’ambiente 2022 che sarà ospitata dalla Svezia e si focalizzerà sulla necessità di vivere in modo sostenibile, in armonia con la natura.
«Soffrire per la perdita delle tradizioni, delle identità culturali, ma anche a causa del cambiamento climatico che affligge il Pianeta: è la solastalgia, una forma di disagio psicologico che colpisce le nuove generazioni»
All’inizio del suo impegno Greta Thunberg, la giovane icona svedese della ribellione ecologista, ha sofferto per diversi mesi di una seria depressione. In un’intervista al New York Times, ha dichiarato quanto le immagini dello scioglimento dei ghiacciai e degli orsi polari, fossero rimaste impresse nella sua mente, provocandole una profonda tristezza.
L’eco-ansia che colpisce i giovani
Greta non è la sola a sentirsi triste per lo sfacelo ambientale. Perché a essere preoccupati, ansiosi e frustrati dal progressivo declino del mondo, così come lo conosciamo, sono molti dei giovani della cosiddetta Generazione Z. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet, oltre il 50% dei giovani tra i 16 e i 25 anni si sentirebbe triste, ansioso, arrabbiato e indifeso di fronte al fenomeno del riscaldamento globale.
L’innalzamento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai, l’inquinamento da plastica, l’acidificazione degli oceani non stanno degradando soltanto il pianeta ma anche la nostra salute mentale.
Gli studi sull’eco-ansia
Negli ultimi anni, sono molti gli studi che hanno messo a fuoco l’impatto del cambiamento climatico sulla psiche umana, a livello individuale e collettivo. Uno dei lavori più completi è stato pubblicato nel 2011 sulla rivista American Psychologist e divide il fenomeno in tre categorie: effetti diretti, indiretti e psicosociali. Tra gli effetti indiretti c’è quello che l’American Psychological Association (Apa) definisce eco-ansia e cioè “la paura cronica della rovina ambientale” che “sta erodendo la salute mentale su larga scala”.
Ma non è tutto. Per le nuove generazioni l’ansia e la depressione derivano dall’incapacità di proiettarsi in un orizzonte che vada oltre il 2030, a causa degli sconvolgimenti climatici. Ma la generazione dei Boomers, quella che ha vissuto gli ultimi cinquant’anni di intenso sviluppo, è certo la più esposta alla solastalgia.
Solastalgia, un neologismo tra nostalgia e conforto
Il neologismo, coniato nel 2003 dal filosofo australiano Glenn Albrecht, combina la parola latina solacium (conforto) con la radice greca – algia (dolore). Indica il sentimento di nostalgia che si prova per un luogo nonostante vi si continui a vivere. Una vera e propria “patologia del luogo”, che può essere legata a catastrofi naturali come siccità, incendi, inondazioni, ma anche alla gentrificazione di vecchi quartieri di una città.
Là dove c’era l’erba ora c’è una città e quella casa in mezzo al verde, ormai, dove sarà?… cantava Adriano Celentano nel 1966, con un pizzico di solastalgia – e con grande sagacia anticipatrice – per l’urbanizzazione selvaggia della sua città.
La perdita di tradizioni, pratiche culturali e identitarie può provocare infatti disturbi e “un senso di desolazione simile a quello di chi è costretto a migrare da casa propria”.
Se la nostalgia è per il paese che lasciamo, la solastalgia è per il paese che ci lascia.
Le sorti del Pianeta che ci preoccupano tanto
Al disagio psicologico, che deriva dalla paura per il futuro dell’umanità e della distruzione del pianeta, sono associati diversi sintomi che includono attacchi di panico, insonnia e pensieri ossessivi. Gli studi hanno evidenziato i comportamenti fisici negativi associati al cambiamento climatico, con la sperimentazione di reazioni emotive avverse come irritabilità, debolezza, tristezza, depressione, intorpidimento, impotenza, disperazione, senso di colpa, frustrazione o rabbia, e il sentirsi spaventati o incerti.
L’eco-ansia diventa così l’angoscia contemporanea più diffusa tra i giovani, strettamente legata al nostro tempo: l’Antropocene, un’era profondamente influenzata e plasmata dall’opera dell’uomo, più che dalla forza della natura.
C’è da chiedersi se un eccesso di informazione catastrofista e a volte inquietante, non sia controproducente per la causa climatica; se non comporti il rischio di paralizzare le persone – oppresse da un fardello troppo pesante da tollerare – piuttosto che spingerle alle tante azioni (individuali e collettive) possibili per salvare il Pianeta e garantire un futuro agli esseri viventi che lo popolano.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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