Dovranno aspettare di aver compiuto 74 anni. Per andare in pensione con un assegno mensile di poco superiore ai mille euro, gli under 35 di oggi lavoreranno oltre 50 anni.
Giovani e pensione, un binomio che apre scenari non propriamente rosei nel nostro Paese. Anzi. A confermarlo ci sono anche i recenti risultati della ricerca Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani: quali risposte all’inverno previdenziale. La combinazione tra discontinuità retributiva e stipendi bassi, infatti, potrebbe rivelarsi secondo le proiezioni dell’indagine un problema di notevole portata. Capace di spingere al ritiro dal lavoro solo per vecchiaia.
Un problema ben più grave della “semplice” distanza di tempo esistente tra quel momento – cioè il pensionamento – e l’età. La crescente precarizzazione e la mancanza di garanzie sociali rendono tutto ancora più lontano, indistinto ed evanescente.
La situazione dei giovani lavoratori dipendenti e quella delle Partite Iva
L’indagine è stata condotta dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Istituto Eures, Ricerche Economiche e Sociali, che promuove e realizza attività di studio, formazione e di analisi in campo economico, sociale e culturale.
Secondo il dossier i lavoratori dipendenti che hanno oggi meno di 35 anni dovranno attendere i 69,6 anni di età, per un importo dell’assegno medio lordo pari a 1.249 euro, ossia 951 euro mensili al netto dell’Irpef. Ma è solo nel caso in cui la permanenza sul posto di lavoro dovesse protrarsi fino al 2057, ossia fino ai 74 anni, che l’importo dell’assegno pensionistico raggiungerebbe i 1.577 euro, ovvero 1.099 al netto dell’Irpef. Questo vorrebbe dire una sola cosa per molti giovani: lavorare per 52 anni. E bisogna considerare anche la discontinuità dei contributi previdenziali per via del lavoro a intermittenza.
I lavoratori con partita Iva che dovessero lavorare fino al 2057, all’età di 73,6 anni, otterrebbero invece un importo mensile di 1.650 euro lordi, 1.128 euro netti.
Situazione socialmente insostenibile
Oggi, numerosi fattori in gioco rendono complicato l’ingresso nel mondo del lavoro, figurarsi il percorso al suo interno, la stabilità contrattuale e i livelli di retribuzione. Serve un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali secondo la stessa presidente del CNG, c’è in ballo la tenuta stessa del sistema previdenziale.
“La combinazione di precarizzazione, discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per gli under 35 – ha dichiarato Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani – non solo rende più difficile l’ingresso nel mercato del lavoro, ma determinerà la loro uscita solo per vecchiaia, con importi pensionistici molto bassi. Una situazione che, se non si interviene, sarà socialmente insostenibile. Per questo è necessario un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, perché la questione demografica e il passaggio al sistema del contributivo puro mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico”.
La pensione di garanzia
Il dibattito sulle pensioni si è aperto ormai anche alle giovani generazioni. Crescono i contratti atipici e determinati, si riducono quelli a tempo indeterminato, si abbassano le retribuzioni. In questo scenario, lo scorso luglio, al Ministero del Lavoro c’è stato il primo incontro tecnico tra l’Osservatorio sulla spesa previdenziale e le parti sociali in merito alla cosiddetta “pensione di garanzia” per i giovani. Una misura la cui necessità è stata ribadita dal Consiglio Nazionale dei Giovani: servirà ad introdurre strumenti di sostegno e copertura al monte contributivo per i periodi di formazione, discontinuità e fragilità salariale dei giovani. Interventi necessari, se non si vuole ignorare il rischio di povertà cui sono esposte intere generazioni.
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