Un caso limite, giunto alle cronache di recente, ha ridato attualità alla vicenda dei “conti dormienti”, trattata lo scorso giugno all’interno della Relazione dalla Corte dei Conti sul Fondo del Bilancio statale in cui confluiscono queste risorse. La magistratura contabile ha denunciato il fatto che, dal 2010 ad oggi, lo Stato Italiano ha di fatto “incamerato” ben 634 milioni di euro provenienti dai “conti dormienti”. Si tratta di somme inutilizzate relative a strumenti (bancari o finanziari) sopra i 100 euro, non più movimentati dal titolare del rapporto (o da suoi delegati) per un tempo ininterrotto di 10 anni dalla data di libera disponibilità delle somme. Fra i “conti dormienti” rientrano – come precisa il Ministero dell’Economia e Finanza – depositi di denaro, libretti di risparmio (bancari e postali), conti correnti bancari e postali, ma anche azioni, obbligazioni, certificati di deposito e fondi d’investimento, nonché assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione.
In una nota dell’agosto 2018, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ricordava la scadenza del novembre dello stesso anno come limite ultimo per esigere le somme relative ai primi “conti dormienti”. Quelli cioè affluiti al Fondo Rapporto Dormienti istituito nel novembre 2008. Il Tesoro, con una comunicazione ad hoc ha diffuso l’informazione e spiegato le modalità per verificare l’esistenza di “conti dormienti” intestati a proprio nome o a nome di familiari di cui si può risultare eredi.
La Corte dei Conti ha quantificato il valore di questi rapporti in circa due miliardi per quasi un terzo composti da titoli di credito circolari. Molto spesso conti e libretti di risparmio caduti in letargo sono intestati a persone defunte, con i legittimi eredi che non ne sono mai venuti a conoscenza. A volte poche centinaia di euro, altre volte veri e propri tesoretti, che restano lì, senza che nessuno ne entri mai in possesso. Come si è detto, dopo 10 anni queste somme vanno dritte nelle casse dello Stato, e dopo altri 10 anni (come termine di prescrizione) possono essere utilizzati per finalità di bilancio.
Il caso della signora Maria Carmela rientra in questo ambito e, oltre ad essere paradossale, pone un problema di giustizia sociale non indifferente rendendo molti anziani, e talvolta qualche ultracentenario, vittime del grado di intasamento del nostro sistema giudiziario.
Maria Carmela Conte (104 anni) è nata durante la Prima Guerra Mondiale. È in causa con Poste e Ministero dell’Economia e Finanze e non si sa se riuscirà ad assistere alla fine del primo grado della causa che ha avviato per rientrare in possesso di quanto le ha lasciato il marito deceduto nel 2008. Vuole riavere il tesoretto composto da un buono fruttifero postale e due buoni del Tesoro che nel 1951 valevano 11.500 lire. Con la rivalutazione e gli interessi, le spetterebbero ad oggi 37.500 euro.
La storia è incominciata il 12 agosto del 2012, quando il figlio della signora ha scoperto l’esistenza di questo “patrimonio dormiente”, mai movimentato per 70 anni. La signora Maria Carmela è decisa a riaverlo e ha citato in giudizio le Poste e il Mef. La prima udienza si è tenuta il 18 dicembre del 2018; la prossima udienza è stata fissata dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Roma per il 17 febbraio del 2021 (quando Maria Carmela avrà 106 anni). E la cosa non finirà qui perché si tratta dell’udienza per la precisazione delle conclusioni, cui si aggiungeranno i termini per il deposito in cancelleria. A seguire la causa due legali di “Avvocati a domicilio” che hanno sottolineato il paradosso insito nella vicenda, pur riconoscendo la drammatica situazione in cui versa la giustizia italiana.
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