Invecchiare è un processo naturale e inevitabile, però è possibile rallentarlo e, in alcuni casi, anche con estrema efficacia. L’importante è mantenere buone abitudini, come mangiare bene e fare spesso attività fisica.
Il corpo è un po’ come un giardino fiorito: per vederlo bello, sano e rigoglioso, occorre andare più in profondità, osservare quanta cura si sia prestata alla sua crescita, alle radici. In metafora è ciò che abbiamo compreso dall’incontro con la professoressa Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello Sviluppo presso il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre. È lei a guidarci in questo percorso attraverso i comportamenti corretti per uno stile di vita sano in età matura.
Professoressa, cominciamo col dire: quanto somigliano gli anziani di oggi a quelli di un tempo?
Direi abbastanza poco. L’anziano di oggi è molto più attivo da ogni punto di vista. Dal punto di vista lavorativo, sicuramente, sociale e fisico. Essere anziani oggi non necessariamente relega l’individuo in una condizione statica come era un tempo e, anzi, il pensionamento viene sempre più visto semmai come l’occasione per realizzare dei sogni rimasti nel cassetto per tanti anni.
Tecnicamente cosa cambia nel nostro corpo con l’andare degli anni?
Per quanto riguarda l’aspetto fisico/fisiologico, quello che cambia è la senescenza dei tessuti e, quindi, delle cellule che compongono il nostro corpo. Naturalmente, è variabile a seconda dei sistemi che prendiamo in considerazione cioè il sistema muscolare o il sistema riproduttore come pure quello nervoso o digerente. A seconda dell’organo che prendiamo in considerazione, la velocità con cui invecchiano le cellule è diversa ed è diversa anche la capacità di rigenerare queste cellule e i tessuti. Un aspetto importante dell’invecchiamento cellulare è la cosiddetta autofagia, cioè il turnover di componenti della cellula che permette di rigenerare energia, e questo naturalmente si estende alle cellule che compongono un tessuto o un organo. Perciò, cambia la funzionalità. Questo vale a dire che, se da un lato c’è un invecchiamento più fine, microscopico, dall’altro c’è un invecchiamento più tangibile, visibile (un esempio: la pelle).
Si tratta di meccanismi che possono essere in qualche modo controllati?
Possiamo intervenire attraverso uno stile di vita sano: una dieta controllata, l’esercizio fisico. L’esercizio fisico è intuitivo come faccia bene. Fa bene perché ci si sente meglio, ci si sente più forti, più capaci ma – anche qui, anche a questo aspetto riscontrabile nella quotidianità – si affianca qualcosa di più profondo. Depressione o effetti sgradevoli come il sovrappeso e l’ansia possono essere combattuti con l’esercizio fisico, che ha effetto anche a livello nervoso se promuove certi meccanismi molecolari di resistenza all’invecchiamento. Ad esempio, c’è una molecola – la BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor), del gruppo delle neurotrofine che sono state studiate dal Premio Nobel Rita Levi Montalcini – che viene prodotta in risposta all’esercizio fisico e che ha un effetto importante a livello del sistema nervoso perché promuove la plasticità neuronale. Il neurone si deve costantemente ristrutturare e questa ristrutturazione – che corrisponde a una capacità di stabilire connessioni sempre diverse – si perde un po’ con l’età: invece, questa molecola può aiutare nel mantenere il neurone capace di formare delle nuove sinapsi, delle nuove connessioni con altri neuroni.
Quindi dicevamo: corretta alimentazione e movimento. Cosa evitare, invece, in uno stile di vita sano?
Classicamente, le malattie cardiovascolari sono legate all’invecchiamento e quelle sappiamo bene che sono a loro volta legate ad abitudini scorrette: il fumo e l’alcol, per intenderci, tenendo presente che l’alcol penetra anche nella barriera ematoencefalica e quindi produce degli effetti a livello cerebrale.
Veniamo a uno studio che ha condotto assieme ai ricercatori della University of Texas Medical Branch e dell’Oregon Health & Science University. Di fatto, sostiene che in alcune persone un meccanismo di difesa “innato” permette di resistere alla neurodegenerazione causata dall’Alzheimer attivando una risposta cerebrale antiossidante.
Il discorso dello stress ossidativo che abbiamo studiato nel lavoro cui fa riferimento è interessante, però non bisogna cadere nella facile conclusione che basti assumere degli antiossidanti – tutte quelle vitamine di cui sono pieni i supermercati americani – per contrastare l’invecchiamento. In realtà, quello che noi dovremmo promuovere è una capacità di rispondere allo stress ossidativo, ma in maniera endogena. Nello studio, abbiamo osservato un gruppo di pazienti che, pur avendo una patologia di tipo Alzheimer, non sono dementi, cioè non avvertono un calo della capacità cognitiva. Il che è legato molto probabilmente alla capacità di mettere in atto delle risposte antiossidanti: un contrasto allo stress ossidativo che parte, però, dallo stesso organismo.
Un dato che può essere utile, quindi, anche in soggetti sani?
Certo e l’esercizio fisico, ad esempio, concorre a questo mantenimento perché nell’esercizio fisico consumiamo ossigeno ma, con questo ossigeno consumato, si producono anche delle molecole note come radicali liberi. Ora, i radicali liberi, in piccola quantità, sono utili perché attivano questa risposta antiossidante che è benefica per l’organismo e dunque per un invecchiamento sano.
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