«l’Italia è piena di borghi abbandonati da salvare; servirebbe una campagna per facilitare una dispersione, e anche una ritrazione dell’urbano». Sono le parole che Stefano Boeri, il noto architetto, ha pronunciato pochi giorni fa in un’intervista a Repubblica.
Prima dell’attuale emergenza sanitaria si parlava di piccoli borghi solo per salvare un minimo di servizi essenziali a favore degli anziani rimasti. Nei centri più piccoli chiudevano servizi essenziali come poste, banche, trasporti e scuole. Ma anche punti di riferimento culturali come librerie ed edicole.
Ora però va favorito il distanziamento sociale e i piccoli borghi sono tornati al centro della riflessione. Questo in un’ottica di ridistribuzione della popolazione nelle aree interne del Paese, abbandonate a favore delle grandi città metropolitane che faticano a difendersi dal virus visto il gran numero di persone concentrate in pochi chilometri quadrati.
I piccoli borghi in Italia rappresentano la maggioranza delle realtà urbane totali: sono circa 6.000 sulle oltre 8.000 esistenti. Distribuiti abbastanza uniformemente sul territorio nazionale, coprono circa due terzi del Paese. A livello strategico potrebbero facilitare quindi il decongestionamento dalle aree metropolitane.
Sono luoghi ricchi di patrimonio naturalistico, agricolo e culturale. Tutto ciò andrebbe incontro agli indirizzi, più volte annunciati, di promuovere di un turismo “alternativo” di tipo eno-gastronomico, culturale e sportivo che negli ultimi anni si stava faticosamente proponendo, anche per attirare nuove fasce di consumo.
Marco Bussone, presidente dell’Uncem, l’Unione dei Comuni e delle Comunità Montane, ha accolto con favore le parole di Boeri chiedendo con una lettera di parlare concretamente di aree interne e non per slogan.
Ma Bussone aveva già scritto una lettera al Presidente del Consiglio, al capo della task force Colao, ai vertici dei Partiti e ai Capigruppo delle forze politiche in Parlamento per rilanciare la sfida a ripartire dai territori. La richiesta era di includere nell’agenda politica nazionale scelte e strategie che aumentino la coesione nei territori e i legami tra aree montane e urbane. In particolare, l’Uncem ha proposto sei punti fondamentali:
- riconoscere il ruolo degli Enti locali per gli investimenti e l’organizzazione dei servizi pubblici del Paese. In questo modo si può pensare, non solo alle grandi opere, ma anche a quelle di piccola e media dimensione per coinvolgere il tessuto imprenditoriale locale;
- innovare e rendere decisive le infrastrutture digitali. Non c’è competitività, se in metà del Paese non si accelera la realizzazione del Piano per la Banda Ultralarga (Bul). Deve marciare veloce, così come le reti 5G e wi-fi;
- valorizzare turismo e agricoltura come i pilastri dell’economia dei territori montani. Nelle Alpi e negli Appennini non perdere l’annata agraria vuol dire investire sulle aziende agricole, consentire operatività a tutti i cittadini, nei loro orti e nelle loro vigne. Ma anche favorire la gestione delle attività forestali a beneficio dell’assetto idrogeologico. Il turismo di prossimità, nei borghi, dovrà trovare incentivi e coordinamento. I territori, le valli montane si devono impegnare insieme nel trovare strumenti per un turismo competitivo che incroci anche l’agricoltura;
- pensare in termini di green economy e di economia circolare. La montagna custodisce i grandi bacini di risorse, acqua e foreste in primis. Bisogna sbloccare il settore delle energie rinnovabili coinvolgendo le comunità territoriali e gli Enti locali, perché traggano benefici e gli investimenti non vadano solo fuori dalle aree interessate. Le Green communities sono la chiave per lo sviluppo, la soluzione integrata per economie di territorio orientate al futuro;
- essere per un’Europa vera dei popoli e dei territori uniti, dove solidarietà e sussidiarietà sono al centro. Bisogna pensare a strategie integrate per i territori in base al Manifesto di Ventotene e alla “Strategia nazionale per le aree interne”. Quest’ultima ha ormai otto anni e va potenziata con un Programma Operativo Nazionale (PON), in linea con la Programmazione comunitaria 2021-2027 per aree interne e montane;
- riconoscere il ruolo delle comunità. Nei piccoli Comuni, nei borghi italiani, non c’è spaesamento, non si è numeri. Bisogna recuperare un nuovo senso del territorio e delle persone che insieme condividono storia, cultura e tradizioni. Le comunità sono la forza dell’Italia, connesse da associazionismo e volontariato. Bisogna puntare su di loro per superare disuguaglianze e sperequazioni con una solidarietà che non è assistenzialismo ma una rete che punta a una nuova “economia di comunità”, con una finanza di comunità, le cooperative di comunità, le energie delle comunità.
Per l’Uncem è giunto il momento di dare nuovo senso al territorio e alle persone. Oltre ogni individualismo, le comunità possono essere la forza dell’Italia: «Usciamo dal centralismo-urbano, guardiamo oltre. Guardiamo alla vitalità dei territori e delle comunità. Puntiamo su di loro, sul patto tra Comuni, imprese, volontariato. È determinante. La forza dei territori fa bene al Paese».
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