Daniele Guelfi. È nato e vive a Pisa. Partecipa al Concorso 50&Più per la sesta volta; nel 2019 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa.
La strada si snodava rapida, sotto le sottili ruote della bicicletta.
Il percorso seguiva l’ondulazione del terreno, che degradava dolcemente verso il mare.
Ad ogni curva il panorama variava in uno sfolgorio di colori, dal verde della vegetazione a l’azzurro della distesa marina.
Inebriato da questa visione, aveva perso la misura del tempo e della distanza.
Andava, senza una meta e senza uno scopo che giustificasse lo sforzo posto in ogni colpo di pedale. Sembrava una prova di resistenza e di controllo delle proprie capacità fisiche.
Un chilometro dopo l’altro, si trovò al bordo del mare.
La strada costeggiava una spiaggia deserta, sotto un caldo sole d’inizio estate, bagnata da una leggera risacca il cui ritmo sembrava accompagnare il concerto dei grilli dalla pineta
Una degna cornice al sogno che l’uomo stava inseguendo, come sospinto da un’altrui volontà. Si fermò e, seduto sopra un masso, aspettava che il respiro riprendesse un andamento regolare assaporando l’aspro odore del salmastro, trasportato dalla brezza marina.
Si alzò per distendere gambe e braccia.
Si era allontanato di qualche metro dal masso quando, voltatosi, vide che vi era seduta una fanciulla che lo stava osservando.
“Buongiorno!”,
Fu la sola parola, mentre avvertiva una strana inquietudine. Perplesso, senza poter capire il motivo.
“Buongiorno anche a te. Seppur con ritardo. Ne convieni?”.
La sicurezza che mostrava la ragazza lo lasciò sorpreso. Aveva la sensazione che sì, doveva essere in ritardo. Ma di ché?
“Ho avuto molto da fare, capisci? Tutta una vita. Lavoro, famiglia, doveri, vicende varie e dispiaceri. Ho fatto, come tutti, grandi cose e stupidaggini. Giorno dopo giorno. Cose ripetute, nel bene e nel male. Una faticaccia!
Dicono tutti così, e paiono convinti. E, quanto più sono in ritardo tanto più sono sicuri di aver fatto tutto loro, e soltanto loro….”.
Lasciò la frase sospesa. Scrutava l’uomo mentre lui pensava come controbattere. Voleva dare un senso a quel ritardo.
Nel mentre osservava la donna che, strano, sembrava leggermente più vecchia. Poi si decise.
“Guarda che non racconto fandonie e lo posso dimostrare. Alla nascita, sembra che mi abbia salvato la levatrice. Mi sono presentato nero come la toga del prete, avevo al collo il cordone ombelicale, e mi ha preso a sberle su tutto il corpo. Mia madre è quasi svenuta, finché mi sono deciso ad urlare, a tutta gargana. Nella fanciullezza, e tu lo sai, quella famosa epidemia…”
“Lo so! Continua”. “Poi la guerra”.
“Non mi dirai che sei stato in trincea? Siamo seri!”
“No di certo, come avrei potuto a sette o otto anni? Ero messo peggio! In trincea hai un’arma, hai compagni che ti possono proteggere e aiutare. A sette anni, sei alla mercé di tutto e di tutti. E se ti dico le volte che sono andato lì lì, non ci crederesti. Acqua passata. Finita la guerra, sono incappato in altre piacevolezze. Ricoveri d’urgenza, tagli di qua e di là. Operazioni. Fino ad oggi. Ed ogni volta ho sfiorato….”.
“Si può sapere perché mi racconti tutto quello che già conosco? Ti stai arruffianando? Con me certi giochi non funzionano. Andiamo al sodo. Sei pronto?”
“Pronto a ché? Son qui che mi godo stò scenario, e tu vieni a chiedere se sono pronto. Ma fammi il piacere!”.
La voce della donna si fece tagliente. Le sembianze mutarono fino a raggiungere l’aspetto di una
vecchia.
“Non parlarmi così. Chi stabilisce il come, il dove e il quando sono io! E tu, non puoi che ubbidire alle mie decisioni. Ci mancherebbe che un tizio qualsiasi potesse stabilire cosa devo decidere e fare”.
“Calma, calma! Ogni cosa a suo tempo. Mica ho detto che tu non debba… Chiedo solo che tu
dia un’occhiata a questo”.
Così dicendo trasse dalla tasca la foto di un bambino, sorridente sotto una cascata di capelli, che
giocava con una palla.
Altri piccoli ammiravano i movimenti del bambino. Stavano su un grande prato con strane strisce
bianche sul terreno.
“Che vuol dire?
“È mio nipote. Voglio fare un patto con te e, per quello che ti ho raccontato, non puoi rifiutarti! In questo bambino vedo un sogno. Io ti chiedo di venirmi a trovare quando il sogno si sarà avverato”.
La vecchia, fissava l’uomo con aria perplessa, riflettendo.
La prima volta che mi trovo a patteggiare il mio lavoro. I tempi cambiano! E io sto invecchiando. Non so perché, ma sento che devo cedere ed accettare.
Infine, rispose: “E sia! Ci rivedremo a quel momento. E ora ringraziami”.
“No!”.
“Come no? Spiegati meglio, o ci ripenso!”.
“Perché mi è dovuto!”.
La vecchia lo fissò cupa, in un silenzio gelido. Tutto sembrava essersi fermato in attesa di qualche cosa, inattesa e tremenda.
L’uomo la guardava, tranquillo.
“Tutto sommato, forse hai ragione. E così sia”.
Le gambe gli dolevano ed il respiro si era fatto pesante. La musica era finita da diversi minuti e lo schermo del computer si stava oscurando.
Afferrandosi dove poteva, prese le stampelle e scese dalla cyclette.
Stordito. Aveva l’impressione di aver fatto un sogno strano, che parlava del suo passato e di uno
strano futuro.
Un futuro? In che senso? E di chi?