Daniele Guelfi.
E’ nato e vive a Pisa. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta; nel 2019 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa.
La solitudine ormai non era più un peso, o perlomeno un grande peso. Gli anni erano passati con una velocità che, a rifletterci, sembrava artificiosa. Pareva ieri che, al suo richiamo, si presentasse come d’incanto col suo sorriso luminoso e quell’aria allegra che, sin dal primo mattino, dava un’impronta serena a tutta la giornata.
Seduto sulla panca malferma, a fianco della porta che dava sul cortile, armeggiava con la vecchia pipa nel tentativo, vano, di confezionare una carica che restasse accesa a sufficienza per poter aspirare tre o quattro boccate con soddisfazione. Udì chiaramente, o gli era parso di udire?, la voce di Domitilla che gli ricordava cosa aveva dichiarato il Dottore.
“Smettila col fumo, i polmoni non reggono più. Prima la guerra, poi la silicosi. Mi chiedo come tu possa continuare a vivere, in queste condizioni. Non pensi mai a tua moglie, ancora così giovane? Bella prospettiva quella di restare vedova, ancora nel pieno degli anni! Butta via quella pipa puzzolente! E vacci piano col vino! Te lo dico per l’ultima volta. La prossima sarò qui ma solo per scrivere il tuo certificato di morte. Garantito!”.
E infatti non era passato molto tempo da quando aveva pronunciato questa frase funerea.
Richiamato dai vicini di casa, che parlavano di una morte improvvisa, salì sul calesse senza grande fretta, borbottando.
L’avevo detto! In quelle condizioni ha retto anche troppo. Pace all’anima sua. E quella bella vedova… Che peccato!
Si rese conto che stava sviando dalle normali riflessioni in senso, diciamo così, professionale.
Quell’accenno alla vedova, col corpo dell’ex marito ancora caldo.
Ebbe un moto di vergogna. Sei un medico. Devi pensare alla salute degli altri, e solo a quello! Il giuramento di Ippocrate, e tutte quelle faccende lì! Ricordalo sempre!
Seguendo i pensieri si trovò all’improvviso davanti alla panca dove il vecchio Bartolo stava seduto piegato in avanti, con la testa fra le mani.
Il Dottore sgranò gli occhi, incredulo. Se Bartolo era lì, significava che… Appunto. Significava che!
La donna giaceva nel centro del grande letto matrimoniale. Le braccia conserte e fra le mani il piccolo rosario bianco della sua Prima Comunione. L’espressione del viso era di estrema tranquillità e non lasciava intuire quale fatto traumatico poteva aver prodotto una morte così improvvisa.
Infarto del miocardio. Forse. In quindici minuti tutto si era consumato.
Quanto tempo era passato da quel maledetto giorno? Forse un mese? O un anno? O dieci anni?
Sì, forse dieci anni. O anche più. Che importanza poteva avere il tempo, ormai?
Domitilla non c’era più. I due figli l’avevano preceduta da qualche anno, esattamente da quando quell’auto impazzita li aveva travolti là, sulla provinciale.
Ed ora, seduto da solo sulla panca messa lì da sempre – forse suo padre? O suo nonno o, anche, il nonno del suo nonno, mah! – in bilico perché nessuno si era mai sognato di pareggiarne le gambe, stava cimentandosi in quella avventura che, a detta del Dottore, l’avrebbe rapidamente portato al Creatore.
Il Dottore. Bel tipo, anche lui. Come tutti i “condotti” campagnoli, predicava ciò che tutti sapevano ma che bramavano risentire, ogni volta che si presentava, per poter infierire sui familiari col fatidico “L’ha detto anche il Dottore!”.
Purtroppo erano più le volte che il destino, o chi per esso, lo smentiva clamorosamente!
Domitilla ne era la prova. Stava per dire vivente, ma un brivido lo bloccò. Vivente un corno! Riprovò con la pipa, ma non ci fu niente da fare. La gettò verso il mucchio del sugo poi, pentito, si alzò per andarla a recuperare. La sbatté sui calzoni e si rigirò per sedersi.
Fu in quel momento che la vide. Seduta sulla panca. Con quel sorriso che l’aveva stordito fin dal primo incontro, lo guardava quieta facendogli posto accanto a lei.
Vieni, Bartolo. Siediti qui, accanto a me. Raccontami cosa hai fatto in questi anni, sono curiosa, come tutte le donne!
Era combattuto fra la paura e la voglia, la voglia matta, la voglia giovanile di abbracciarla, di risentire la tenerezza e la forza del suo corpo, di rivivere quella porzione di vita che il destino gli aveva sottratto.
Domitilla! Di fronte a lui, nella sua sfolgorante bellezza che, per anni, aveva fatto l’invidia di tanti maschi del paese ed il suo orgoglio.
Bartolo, il vecchio Bartolo – come malignamente lo definivano – sposato alla più bella della regione!
Si avvicinò lentamente, quasi cercando di non far rumore nel timore che l’apparizione svanisse da un momento all’altro.
Si sedette senza toccarla. La fissava abbeverandosi nello splendore dei suoi occhi.
“Domitilla, sei proprio tu o sto sognando? Come è possibile?”.
“È possibile, Bartolo, è possibile! Come vedi sono qui”.
“Ma come, Domitilla, in carne ed ossa?”.
“Sono qui, Bartolo. Non ti basta?”.
“Sssii!”, la risposta uscì carica di interrogativi e timori, “Si, Domitilla. Mi basta!”.
Si pose per abbracciarla ma le braccia afferrarono il vuoto. Era un’immagine, solo un’immagine e niente più.
Si ritrasse deluso, mentre una lacrima gli bagnava i lunghi baffi.
Tu pretendi troppo, Bartolo, mi vorresti in carne ed ossa ben sapendo che, a questo punto, solo le ossa ci sono rimaste, sulla vostra terra. Ho pregato e ripregato chi comanda qui per poterti fare una sorpresa. Ci sono riuscita, ma non devi chiedere di più. Accetta questa presenza, così com’è. Non sei contento?
Contento? Sono felice, amore mio. Felice! felice da morire!
Lo trovarono con gli occhi bene aperti ed una espressione deliziata sul volto.
Le braccia nella bizzarra posizione come di abbracciare qualcuno o qualche cosa.
La pipa nel taschino della blusa di fustagno era accesa ed esalava un leggero fumo aromatico e azzurrognolo, senza bruciare il tessuto.
Quando gli aprirono le mani, per sistemarlo nella bara, trovarono, racchiusa fra le dita, la bianca coroncina della Prima Comunione.
La coroncina di Domitilla, giurava la Gisella vicina di casa.
“Non posso sbagliarmi, credete”. Gliela misi io personalmente fra le mani alla cara Domitilla, mentre era esposta nella cappella! E la vidi mentre chiudevano la cassa.
Svenne, e fu allontanata nella convinzione che fosse una visionaria.
Mentre il necroforo dava l’ultima occhiata alle spoglie di Bartolo, seppur abituato alla morte, ebbe un moto di terrore.
Fra brividi incontrollabili, più che parlare singhiozzava strane frasi.
“Ha sorriso! Lo giuro! Ha sorriso! Rideva, Bartolo, rideva!”.
Fu necessario iniettargli un calmante e ricoverarlo alla Neuro.
La cerimonia funebre si svolse nella Chiesa Maggiore, fra una grande folla. Tutti, in paese, conoscevano Bartolo e, figurarsi, la splendida moglie. Tutti erano rimasti colpiti dalla maniera repentina che li aveva privati della vita.
Nessuno ricordava come anche i figli fossero scomparsi in maniera così assurdamente veloce. Ma poco importava. I pensieri erano tutti rivolti alla memoria di Bartolo, e tutti gli sguardi si posavano sulla cassa che lo conteneva.
Anche quelli di quei due giovani, accanto ad una signora che, sorridenti, seguivano la cerimonia in fondo alla navata.