Elisabetta Greco.
Ama leggere ma ancora di più scrivere. Ha frequentato diversi corsi di scrittura creativa. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Monza (Mb).
Beatrice aspettava, fingendosi addormentata.
Attendeva che il raggio rosso proiettasse sul soffitto le sei del mattino. Il beep della sveglia ruppe il silenzio, subito tacitato da Federico, suo marito.
Lo scorse nella penombra lasciare dietro di sé il piumino scomposto e, premuroso, alzarsi dal letto con movimenti lenti, attento a non svegliarla. Intravide la sua figura dileguarsi piano fuori dalla stanza, e fu finalmente libera di muoversi e di respirare normalmente. Non si sentiva riposata. La notte era stata pesante, la testa affollata da brutti pensieri. Anche Federico non aveva dormito granché, si era girato e rigirato nel suo sonno disturbato.
Le arrivò il rumore della macchina del caffè, ne poteva quasi sentire il profumo. Le mancavano quelle colazioni in cucina, ancora in pigiama, assonnati, con gli occhi alle prime notizie del giorno. Ebbe voglia di saltare giù dal letto, ma non lo fece.
Sentì infine il cigolio della porta di casa.
Scese dal letto e ispezionò in fretta il suo armadio, alla ricerca di qualcosa di caldo. La temperatura esterna, crollata nella notte a due gradi, suggeriva di adottare un abbigliamento pesante.
Uscì, fuori era ancora buio. Si coprì la testa con il cappuccio del piumino, stava cadendo una pioggerellina mista a neve. Era gelida quanto la risposta che Federico le aveva dato qualche sera prima, che lei non gli aveva perdonato.
Federico guidava nelle strade strette del paese. Non era ancora sorto il sole, in giro solo poche auto. Sorrideva contento, era riuscito a non svegliare Beatrice. Ne aveva sentito il respiro regolare e così si erano risparmiati la solita schermaglia, con la voce di lei che sapeva di sonno:
“Ma che ora è? … Perché non dormi?”.
“Sì sì, lo so che è ancora presto … ho da fare in ufficio … continua a dormire tu”.
Fino a un anno prima lavoravano entrambi in città ed era bello alzarsi alla stessa ora, fare colazione e correre in stazione. Poi Beatrice aveva perso il posto e per fortuna aveva trovato un impiego part-time nella libreria del paese.
Perché questi ricordi stamattina? E questa malinconia? Forse perché la sera prima Beatrice gli era sembrata finalmente serena, non lo aveva torturato con le solite domande.
Da qualche giorno le cose andavano meglio … quel brutto litigio risaliva alla domenica prima.
“Si può sapere che hai?” … Sembri un altro!”.
“Non è vero, non sono cambiato, sei ingiusta”.
“Di cosa si tratta? Perché non me ne parli?”.
“Te l’ho già detto mille volte che ho problemi in ufficio, cose tecniche, non capiresti …”.
“Mi credi così stupida?”.
“Non dire sciocchezze, dai, qui non si tratta di essere stupidi!”.
“Lo sai, ho avuto anch’io momenti bui. Perché non vuoi che ti aiuti?”.
“Non è da te che voglio aiuto!”.
Si era pentito subito di quell’uscita infelice, non se la meritava. Beatrice si era come gelata, in silenzio era andata in camera. Al ricordo, Federico se ne vergognava ancora adesso.
La serenità svanì di colpo. Imboccò la superstrada sterzando con una manovra nervosa. Nel frattempo aveva cominciato a scendere una pioggia ghiacciata.
A Beatrice non era mai piaciuto fare colazione da sola, così aveva preso l’abitudine di farla al bar, insieme a Veronica, la proprietaria della libreria. Avevano vent’anni di differenza, ma lavorando fianco a fianco, da sei mesi oramai, erano diventate buone amiche.
Una mattina di dicembre Beatrice era entrata nel locale un po’ più tardi del solito, e anche più pallida, dopo una notte insonne. A Veronica era bastato uno sguardo per accorgersi del pallore, e delle occhiaie.
“Beatrice, non stai bene?”, le aveva chiesto, mentre le offriva una tazza di caffè e una brioche.
“Ho solo passato una brutta notte”, aveva risposto lei, stringendo nervosamente il manico della tazzina.
“In bianco per colpa di Federico e della sua famosa insonnia, suppongo”.
“Veronica, non scherzare, sono preoccupata. Sento che sta succedendo qualcosa, che forse è già successo qualcosa. Federico è come un muro di gomma, provo a scalfirlo, ma senza successo, fa fatica a parlarmi … si sta allontanando da me”.
“Ma uno non cambia così, di colpo! Da quanti anni siete sposati, dieci? Quando vi ho conosciuto, sembravate Giulietta e Romeo!”.
Beatrice aveva sorriso, suo malgrado. “Giulietta e Romeo, bel paragone, guarda come sono finiti …”.
“Ma qualcosa te lo avrà detto, no? E con un dottore, con uno psicologo, avete parlato?”.
“Uno psicologo … ma no, vorrebbe dire ammettere che esiste un problema, e invece lui nega. Però prende di nascosto dei sonniferi. Che stupido, pensa che io non me ne sia accorta!” Si era interrotta un attimo, poi aveva continuato: “Ad ogni modo non funzionano, alle cinque è già sveglio. Ma, credimi, non è solo una questione d’insonnia, è che è diventato … grigio dentro, ecco”.
“Cara, ti capisco, deve essere difficile vivere con un uomo senza sapere cosa gli sta succedendo, cosa gli passa veramente per la testa”. Veronica aveva assunto un’espressione strana in volto, sembrava parlare più a se stessa che a Beatrice. “Certo, non sono la persona giusta per dare consigli in questo campo, non ho avuto molta fortuna con gli uomini, lo sai”, aveva aggiunto con voce triste.
A quelle parole Beatrice aveva sentito un nodo allo stomaco. Per alcuni secondi nessuna delle due aveva detto niente, poi Beatrice aveva rotto quell’imbarazzante silenzio.
“Forse sto esagerando, mi ripete come un mantra che non è proprio il caso di agitarsi, di stare tranquilla. Dice che ha qualche grana in ufficio, che comunque si risolverà presto. Magari ha ragione lui, sono solo una stupida a preoccuparmi”.
“E allora cara, se è di questo che si tratta, è meno grave, non trovi?”, aveva concluso Veronica, con voce un po’ fredda, mentre guardava l’orologio. “E a proposito di lavoro, che ne dici se andiamo ad aprire la libreria?”.
Beatrice aveva annuito e si era diretta verso la cassa. La brioche era rimasta intatta su tavolo, tutto quel parlare di Federico le aveva tolto la fame.
Beatrice guidava nervosa: la strada era scivolosa e la sua auto aveva qualche anno di troppo.
Da quella mattina, quando si era confidata così apertamente con Veronica, la sua inquietudine era cresciuta. “Non ho avuto molta fortuna con gli uomini, lo sai”, così le aveva detto, e da quel momento Beatrice non era riuscita a pensare ad altro, quelle parole avevano fatto nascere in lei il malefico seme del dubbio. E ancora, quella frase buttata lì, prima di uscire dal bar: “… Se è di questo che si tratta, è meno grave, non trovi?”.
Che cosa intendeva dire? Meno grave di cosa? Di un’altra donna, a questo certamente si riferiva. Che stupida, era così semplice! Federico la stava tradendo e nello stesso tempo soffriva per il fatto di tradirla, per questo era così triste.
Certo, la passione dei primi tempi si era a poco a poco assopita, ma era del tutto normale, non vivevano nelle favole. Maledetta Veronica! L’aveva trasformata in una moglie ingannata, tradita. Dopo quella mattina aveva cercato le prove, frugando di nascosto nelle cose di Federico. Non conosceva né la password della mail né quella che sbloccava il telefonino e tutti i tentativi di recuperarle non avevano dato frutti, come pirata informatico non valeva niente … Si era messa persino a ispezionare gli estratti conto delle carte di credito, che lui peraltro lasciava sul tavolo dello studio. Tutto inutile, la vita di Federico sembrava assolutamente irreprensibile, sgombra di vite parallele a lei sconosciute.
Basta, si era data sette giorni per questa folle ricerca, e poi lo avrebbe affrontato, direttamente. Mancava solo l’ultimo atto.
Uscita dalla superstrada, percorse veloce i viali in direzione della zona industriale della città. Là si ergeva, maestoso, l’alto palazzo di vetro, dove Federico lavorava da quasi vent’anni. Dietro all’edificio, seminascosto da alberi ad alto fusto, Beatrice si ricordava dell’esistenza di un grazioso hotel, con un bar elegante al pianterreno. Là tanti anni prima si era svolta una festa con i colleghi di Federico a cui lei, stranamente, era stata invitata. Voleva avvicinarsi e guardare furtivamente nel locale: nella sua mente già lo vedeva, seduto a un tavolo appartato, insieme ad una giovane donna.
A circa un chilometro dal palazzo di vetro il suo sguardo fu attirato da un grande parcheggio, in prossimità di una costruzione bassa. Istintivamente pensò potesse trattarsi di un motel e quindi cercò con gli occhi la Golf del marito: purtroppo la vide. Sarebbe voluta tornare indietro, ma resistette, e parcheggiò la sua auto in mezzo ai tir provenienti da ogni parte d’Europa. Lesse l’insegna del locale, malamente illuminata, ‘Bar Trattoria Aurora’. Scese dall’auto e con calma si diresse verso l’entrata.
La pioggia, adesso più fitta, bagnava i vetri sporchi del locale.
Mezz’ora prima che Beatrice entrasse nel parcheggio, Federico aveva raggiunto il suo rifugio segreto, dove ogni mattina si nascondeva prima di entrare in ufficio, certo di non incontrare visi conosciuti.
Si era seduto a un tavolo vicino alla finestra, stesso posto di ogni giorno. L’aveva scelto perché gli piaceva sentire sulla schiena il tepore del sole, quando finalmente si affacciava nel ristorante.
Aprì il suo MAC e si mise in attesa della connessione.
Ripercorse con la mente gli ultimi due mesi, ore e ore passate a consumarsi gli occhi consultando siti di ricerca di personale, senza alcun successo, dopo essere stato licenziato per problemi di ristrutturazione. Troppo qualificato, gli avevano detto nei pochi colloqui che era riuscito a procurarsi. Cercavano sempre una figura minore, e che cos’era lui oggi se non una figura effimera, quasi trasparente? Volevano una figura minore di così? Lui poteva farsi ancora più piccolo, tutto pur di riuscire a guardare ancora Beatrice negli occhi.
Convinto di trovare presto un nuovo impiego, dopo il licenziamento aveva preferito non metterla in allarme e aveva taciuto. Dopo un mese, e zero posti, si era reso conto dell’assurdità di quella continua menzogna, ma era troppo tardi, e lei a questo punto non avrebbe capito.
Il tempo era passato in un lampo e oggi era il suo ultimo giorno di lavoro. Niente di nuovo, una storia come tante. La rendeva originale la sua vigliaccheria, il non aver avuto il coraggio di dire a sua moglie che avrebbe dovuto riconsegnare la macchina, che avrebbero avuto problemi con il mutuo, che il loro viaggio in America sarebbe rimasto un sogno nel cassetto … e questa menzogna gli spaccava il cuore.
L’avvio delle connessione internet lo distolse dai suoi pensieri, e si mise a cercare.
Beatrice si affacciò a un vetro e lo vide, di schiena, seduto a un tavolo accanto alla finestra: il volto proteso verso lo schermo, una tazza di caffè nella mano sinistra, mentre con la destra muoveva il mouse, scorrendo pagine di offerte di impiego.
Nessuna donna dunque, comprese in quell’istante, con gli occhi che si riempivano di lacrime. Solo problemi di lavoro. Tranquilla cara, sono solo problemi di lavoro.