Elisabetta Greco. Ama leggere ma ancora di più scrivere. Ha frequentato diversi corsi di scrittura creativa presso “Paginauno” a Milano. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Monza (Mb).
La musica s’interruppe di colpo e le luci che pulsavano nella discoteca si spensero. Thomas aprì gli occhi, voci concitate gli arrivavano dal centro del capannone, ora immerso nell’oscurità. Si era verificato un altro blackout, in pochi minuti tutta l’isola sarebbe stata avvolta dal buio. Maledetti cambiamenti climatici.
Com’era bella l’isola, prima di essere inondata per metà dal mare! Spuntava fra le nebbie del Canale della Manica come un fungo in mezzo ad un prato. Era una sorta di paradiso, con quelle lunghe spiagge bianche, e il verde intenso delle valli, profumate dai fiori selvatici. I turisti arrivavano in traghetto e dopo lunghe passeggiate si fermavano a mangiare nel ristorante della sua famiglia, sulla spiaggia. Erano passati tre anni da allora, ma lui riusciva ancora a sentire nelle narici l’odore delle ostriche che serviva ai tavoli. Tre anni, che sembravano trenta: stagione dopo stagione l’innalzamento dell’acqua del Canale aveva trasformato quel paradiso in un grigio acquitrino, intervallato a tratti da sentieri fangosi. Molti se n’erano andati, spinti dalla crisi e dalla depressione, e si erano trasferiti sulla terraferma, da una parte o dall’altra del canale. Thomas non era partito, non poteva lasciare i suoi, troppo malandati per ricominciare da un’altra parte. Almeno lì potevano contare sul sussidio del governo.
Era rimasto assopito per chissà quanto tempo sul lercio divanetto alla destra del bancone degli alcolici, annebbiato dal troppo Mystic-driver, l’insano miscuglio di cola e gin che dava il nome al locale. Come al solito era rimasto per conto suo: non sentiva alcun desiderio di confondersi fra i ragazzi che ogni sera si dondolavano per ore al centro dello stanzone, cullati dalla solita, monotona, musica house pompata dalle casse. Non li capiva, non comprendeva perché non prendessero il primo traghetto, invece di riempirsi di alcol a buon mercato.
Davanti ai suoi occhi i braccialetti anti black-out cominciarono piano ad accendersi, formando un groviglio sempre più esteso di scie luminose colorate che fluttuavano nel locale, seguendo i movimenti delle braccia. D’istinto guardò il suo polso sinistro, la luce violacea si era accesa. Rassicurato, con l’aiuto del dispositivo recuperò gli occhiali finiti sotto il cuscino polveroso e controllò il telefonino stringendo gli occhi miopi: la linea telefonica era saltata.
Si sentiva intontito, quella sera aveva esagerato, si era fatto riempire il bicchiere tre volte, almeno una di troppo. La paura di rimanere intrappolato nel mucchio di corpi che a breve si sarebbe riversato verso l’esterno vinse sul suo torpore: un po’ malfermo sulle gambe si diresse verso l’uscita di sicurezza, segnalata da una luce verde fosforescente, cercando di guadagnarsi la fuga prima della calca. Accelerò il passo, tenendosi rasente al muro per non scontrarsi con i ragazzi che uno addosso all’altro lasciavano la sala, ma nella semi oscurità inciampò in una cassa di birra, perse l’equilibrio e si ritrovò disteso sul freddo pavimento.
Fu allora che si accorse della ragazza.
Era immobile, accovacciata al muro, le ginocchia contro il petto, a neanche un metro da lui. Thomas non riusciva a capire se fosse in preda alla paura o troppo ubriaca per capire il pericolo, nella penombra non riusciva a mettere a fuoco i contorni del suo viso. Strisciando fra la selva di gambe la raggiunse. S’inginocchiò con cautela accanto a lei e notò la debolissima luce rosa del suo braccialetto, sicuramente si era dimenticata di caricare il dispositivo. Pochi minuti e si sarebbe spento del tutto. Se si fosse accodata alle luci emanate dagli altri ragazzi avrebbe potuto conquistare l’uscita, e una volta fuori avrebbe potuto chiedere aiuto, ma doveva sbrigarsi, altrimenti si sarebbe presto trovata nel buio del blackout, senza luce e senza protezione.
Toccò piano le sue spalle, ma non ebbe alcuna reazione. Illuminò il viso con il suo braccialetto e scoprì un volto molto giovane, pallidissimo, i corti capelli neri. Poteva avere vent’anni o poco più. Con gli occhi chiusi, sembrava dormire, ma le labbra erano scosse da un leggero tremito. Si accorse che portava al collo un ciondolo: lo illuminò e vide inciso in piccolo un nome, Helen.
“Helen, svegliati, dobbiamo andare! Riesci a sentirmi?”. Chiese a voce alta Thomas, imbarazzato e allarmato nello stesso tempo, ma non ebbe risposta. “Sto entrando senza permesso nella vita di una sconosciuta di nome Helen” si disse, mentre il rumore forte di un tuono irruppe da un finestrone spalancato dal vento. Sulla baia si stava addensando un temporale e presto la situazione sarebbe peggiorata. Fece appena il tempo a pensarlo che già sentì i primi rivoli d’acqua lambirgli le scarpe, il capannone si sarebbe presto allagato.
Le toccò le mani, erano gelide. Si sentì invaso da un senso indicibile di tenerezza, e se ne stupì, perché da mesi non provava un sentimento che non fosse odio, paura o rimorso.
“Ti prego” la supplicò ancora. “Dobbiamo muoverci! Sei … siamo in pericolo!” sentì se stesso urlare. Le mani della ragazza cominciarono a tremare nelle sue.
I minuti passavano, e Thomas capì che per la vita della ragazza stava mettendo a rischio la sua. Un disastroso blackout, sei mesi or sono, aveva oscurato la parte a Nord dell’isola e provocato più di dieci morti, tutti giovanissimi che avevano preso parte a un improvvisato e quanto mai incauto concerto rave, su un molo oramai in disuso. Nel trambusto generato dall’oscurità, con i braccialetti ormai scarichi, sfiniti dal fumo e dall’alcol, ma soprattutto dall’eccitazione provocata da quel concerto lunghissimo e proibito, avevano imbroccato la strada sbagliata e si erano trovati immersi nell’acqua gelida del mare, che oramai aveva coperto buona parte della zona.
Girò lo sguardo verso i ragazzi che lasciavano il locale, un imbuto luccicante addosso all’uscita. Sentiva le loro grida miste a risate isteriche, avvertiva la loro agitazione e insieme l’eccitazione. Sapeva che erano molto più giovani di lui, tanti sicuramente minorenni. Thomas aveva trent’anni e odiava la musica house, ma scendeva al Mystic-driver da quasi sei mesi. Cocktail a poco prezzo e nessun viso conosciuto.
Provò ancora a scuoterla, con più vigore adesso, sempre più angosciato. A parte il tremore delle labbra e delle mani Helen non si muoveva, paralizzata da un evidente attacco di panico.
“Che diavolo …” imprecò infine. Si alzò e la sollevò da terra: notò il corto abitino scuro che le lasciava scoperte le gambe magrissime. Con lei fra le braccia si trascinò faticosamente con l’acqua alle ginocchia verso l’uscita. Nella sala ormai sgombra si sentiva solo il rumore dell’acqua che piano riempiva il locale. Un’altra parte della sua povera isola stava miseramente affogando.
Superata la soglia del capannone, la strada oramai non esisteva più, era solo un fiume di fango e detriti. I ragazzi erano tutti spariti, erano riusciti per fortuna a mettersi in salvo. Il silenzio era tanto profondo che Thomas sentiva il battito accelerato del suo cuore. Il terrore di non farcela era tale da non sentire il freddo gelido che gli artigliava le gambe.
Non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere la strada sopraelevata con Helen in braccio. La corrente li avrebbe trascinati entrambi. Si ricordò della scala d’emergenza, in fondo a sinistra, strinse ancora più a se Helen aggrappandosi a quell’immagine. Tenendosi rasente al muro raggiunse la scala. Ancora uno sforzo, e poi avrebbero aspettato insieme sul soffitto del capannone che defluisse la marea.
La vita gli stava concedendo un’altra chance. Sei mesi prima aveva fallito con la giovane pazza ragazza conosciuta a quel maledetto concerto: nel buio l’aveva persa di vista, poi aveva visto il suo corpo galleggiare senza vita. Non sapeva nemmeno il suo nome.
Adesso, per la prima volta da allora, si sentiva in pace con se stesso. Helen era al sicuro, sentiva il suo corpo che si avvinghiava al suo petto, e nell’improvvisa luce di un lampo gli parve di cogliere un suo debole sorriso.