Un progetto ambizioso, lanciato nel 2007, prevede di piantare una striscia di 8mila chilometri di alberi, dal Senegal a Gibuti, per fermare la desertificazione. Bisogna risanare cento milioni di ettari di terreni degradati e generare dieci milioni di posti di lavoro nel settore dell’economia verde entro il 2030
Una mega cintura di alberi che cinge l’Africa nella regione del Sahel, un polmone verde tra il deserto del Sahara e la savana del Sudan, che taglia orizzontalmente il Continente. È la Grande muraglia verde africana, un colossale progetto di riforestazione e gestione sostenibile del suolo. È considerata la più importante opera naturale che l’uomo abbia mai costruito, e dovrebbe essere pronta nel 2030.
Dovrebbe, appunto, il condizionale è quanto mai opportuno. Perché, ad oggi, questo faraonico progetto è stato realizzato solo in minima parte. Prevede un muro di alberi e di terreni dedicati all’agricoltura sostenibile, bacini e impianti energetici, un corridoio lungo 8mila chilometri e largo 15. È una risposta concreta alle minacce che desertificazione, cambiamento climatico e degrado dei suoli rappresentano, costantemente, per gli africani, mettendo a dura prova la vita di milioni di persone. La muraglia verde, infatti, mira a ripristinare 100 milioni di ettari di territorio arido e degradato, dal Senegal a Gibuti, frenando l’avanzata del deserto, e a catturare 250 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Sulla carta darebbe il via ad una nuova economia in grado di alimentare 10 milioni di posti di lavoro.
L’ORIGINE DEL PROGETTO
L’idea di questa immensa foresta verde ha più di mezzo secolo di vita: venne lanciata nel 1952 dall’esploratore inglese Richard St. Barbe Baker, di ritorno da una spedizione nel deserto del Sahara. Nel corso della sua traversata, infatti, il biologo britannico aveva recepito i primi segnali che, da lì a qualche decennio, le terre al confine del deserto sarebbero state sopraffatte dalla sua avanzata. È per questo che lanciò un’idea folle per l’epoca: combattere la desertificazione costruendo un gigantesco muro verde che potesse dividere in due il deserto del Sahara. Ma non venne preso sul serio: il suo progetto era troppo vasto, troppo costoso, a dir poco impraticabile. Baker ci aveva visto giusto però, e fu un gran precursore: negli Anni ’70 il processo di desertificazione del Sahel fu sotto gli occhi di tutti, a causa della siccità che diede una forte accelerazione all’inaridimento di queste terre.
Bisogna aspettare il ventunesimo secolo per vedere tornare in auge l’idea di Richard St. Barbe Baker. Nel 2002, infatti, il progetto della Grande muraglia verde venne presentato e discusso ufficialmente all’interno dell’Unione Africana. Venne adottato e partì ufficialmente nel 2007.
I PARTECIPANTI
All’inizio sono stati undici i Paesi africani che hanno deciso di aderire a questo grande muro di alberi. Poi, nel corso del tempo, se ne sono aggiunti altri. Ad oggi sono 20 in tutto: Algeria, Burkina Faso, Benin, Camerun, Ciad, Capo Verde, Gambia, Gibuti, Egitto, Etiopia, Eritrea, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Tunisia.
A causa dei nuovi ingressi è stato modificato anche il corridoio iniziale, con l’aggiunta di zone fuori campo e un mosaico di iniziative a nord e sud di questa grande cintura.
GLI ALBERI PIANTATI
Lungi dall’essere un progetto unitario, il polmone verde africano va avanti a rilento, con differenze e tempistiche diverse da paese a paese, e con numeri che segnano un forte ritardo rispetto alla tabella di marcia. Secondo il rapporto dell’UNCCD (la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione), nel settembre 2020 su 100 milioni di ettari previsti ne sono stati recuperati soltanto 4 milioni. L’opera ha finora generato 335mila posti di lavoro, rispetto ai 10 milioni di posti previsti quando tutto andrà a regime. Il Paese più “virtuoso” è l’Etiopia, che ha piantato 16,6 milioni di piante. Fanalino di coda è invece il Ciad, che non è andato oltre 1,1 milione di alberi piantati. Attualmente sembra utopia immaginare che questa grande opera possa essere realizzata entro il 2030, ma è uno sforzo che va fatto (e i grandi della Terra se ne sono finalmente accorti) per evitare che il Continente si arrenda alla desertificazione e ai cambiamenti climatici.
SUMMIT SULLA BIODIVERSITÀ
Annunciati importanti investimenti
Novità sulla Grande muraglia africana sono arrivate durante il One Planet Summit for Biodiversity, la conferenza che si è tenuta a Parigi l’11 gennaio scorso, ed ha visto i grandi del mondo riuniti per stilare un bilancio su ciò che è stato fatto, nell’ultimo decennio, sul tema della biodiversità, e per fissare un’agenda post 2020. È proprio in questa occasione che è stato annunciato un “impegno rafforzato” per sostenere il progetto, a partire dalla Banca europea per gli investimenti, che ha promesso di mettere il piede sull’acceleratore. Negli anni, infatti, i finanziamenti annunciati dai donatori non sono stati rispettati. Nel 2015, al momento dell’accordo di Parigi sul clima, erano stati previsti 4 miliardi di dollari per il progetto. Sono stati pagati però soltanto 870 milioni, meno di un quarto della cifra. Si è temuto che ciò portasse ad un fallimento dell’iniziativa, ma a dissolvere tutti i dubbi ci ha pensato, con fermezza, il presidente francese Emmanuel Macron che, nel corso del summit, ha ribadito che «ci sono stati alti e bassi, ma il Grande muro verde fa parte delle soluzioni per fornire un futuro sostenibile alle popolazione del Sahel». Per questo sono stati promessi oltre 14,3 miliardi di dollari, in cinque anni, nel periodo 2021-2025.
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