Social network, libri, bar ed e-commerce dedicati. Il mondo del lavoro a maglia torna di moda e, secondo la scienza, ci fa stare bene.
Chi pensava che il mondo del lavoro a maglia fosse appannaggio solo delle nonne, non ha mai sentito parlare di Ravelry. Il social network dedicato ai knit lovers (gli amanti del lavoro a maglia, ndr) che conta più di dieci milioni di utenti in tutto il mondo. Un popolo in crescita da quando il lavoro a maglia è diventato passatempo dei Millennial e trend del momento. Si tratta di un’attività che sposa perfettamente l’impegno ambientalista di molti giovani e lo lega al benessere psicofisico. A sostenerlo è la Harvard Medical School, che ha calcolato come lavorare a maglia rallenti di undici battiti al minuto il ritmo del cuore e come, nel contempo, questa attività funga da veicolo verso la mindfulness, la capacità di concentrarsi sul presente.
Un tocco in più, poi, è dato dalla soddisfazione di avere qualcosa di tangibile tra le mani, frutto del proprio impegno. C’è qualcuno, quindi, che ha deciso di prendere questo meraviglioso strumento e farci qualcosa di ancora più utile. Qualcosa che potesse aiutare anche la collettività e, in particolare, le persone che più hanno bisogno di supporto. Nasce così, nel 2012, l’associazione Gomitolorosa che – con l’intento di recuperare lana italiana in esubero che verrebbe altrimenti bruciata, ai fini della salvaguardia ambientale e del patrimonio autoctono – collabora con associazioni e gruppi amatoriali di lavoro a maglia su tutto il territorio nazionale per la produzione di manufatti rivolti alla solidarietà sociale. Ci raccontano questa esperienza Alberto Costa, presidente e ideatore di questa realtà, e Ivana Appolloni, direttrice di Gomitolorosa Onlus.
Com’è nata l’idea che ha dato vita a Gomitolorosa? E come si è sviluppata nel tempo?
Un’intuizione che unisce tutto: benessere emotivo, fisico e mentale, lotta allo spreco ed economia circolare. Ogni anno un milione di chili di lana viene bruciato, interrato, disperso o smaltito come rifiuto speciale, con alti costi economici e ambientali. Da qui l’idea di recuperare questo prodotto e trasformarlo in migliaia di gomitoli di pura lana vergine certificata. I gomitoli, poi, vengono divisi in 14 colori diversi e vengono distribuiti a beneficio delle pazienti oncologiche che, in solitudine o in compagnia, possono ricavarne giovamento dedicando il proprio tempo al lavoro a maglia.
Come funziona Gomitolorosa e quali sono le iniziative tramite cui si raccolgono fondi?
Una parte di questi gomitoli, come dicevamo, viene usata durante la lanaterapia. Un’altra parte viene donata ad associazioni o gruppi amatoriali di lavoro a maglia per la realizzazione di manufatti che vengono poi devoluti a persone in difficoltà o ad Onlus, che a loro volta utilizzano queste creazioni per la raccolta fondi da destinare ai progetti di ricerca. La nostra attività è finanziata da aziende, privati e fondazioni che riconoscono nell’Associazione un approccio innovativo e concreto alle problematiche della salute, dell’ambiente e della solidarietà.
Avete parlato di “lanaterapia”. Di cosa si tratta e quali sono i benefici?
Si tratta di una terapia non farmacologica che permette alla persona che ne usufruisce di beneficiare dell’attività del lavoro a maglia mentre si trova in una situazione particolarmente stressante. Può essere l’attesa di un intervento, di una radiografia o di una visita. Gli incontri di lanaterapia si svolgono solitamente nelle sale d’attesa dei reparti di oncologia di importanti ospedali italiani. Da Messina a Latina, passando per Bologna, Milano e Torino. Sferruzzare permette, infatti, di rimanere concentrati su ferri e gomitoli, aiutando chi vive stati di sofferenza a percepire meno il dolore, riducendo ansia e stress, agevolando i processi di socializzazione. Con la lanaterapia non intendiamo di certo curare il cancro, ma cerchiamo di far star meglio chi ci convive. E poi, mentre si lavora, si creano manufatti da donare a persone che ne hanno bisogno.
Quali manufatti vengono prodotti di solito?
Uno degli esempi sono le Pink Pochette, le borsette rosa, utilizzate per custodire la documentazione clinica delle pazienti della senologia oncologica. Ma anche coperte che poi abbiamo devoluto in beneficenza per scaldare i genitori impegnati nella “canguro terapia” dei bambini prematuri. Ora abbiamo avviato un nuovo progetto per realizzare degli scaldacollo azzurri e blu che veicoleranno la nostra solidarietà ai pazienti di tumore della prostata.
Quanta lana avete salvato finora?
Ad oggi abbiamo recuperato 14.000 chili di lana. Ciò che un tempo per gli allevatori era considerata una ricchezza, infatti, oggi è diventato un costo. Il vello rasato non è più appetibile dal mercato e se non viene venduto è considerato dalla legge europea un rifiuto speciale. A questa necessità abbiamo risposto proponendo il recupero a scopo terapeutico e solidale. Un meccanismo di economia circolare dove un rifiuto si trasforma in un manufatto, passando per salvaguardia ambientale, solidarietà, terapia, benessere, condivisione, socializzazione.
Come ha vissuto l’ultimo anno l’Associazione Gomitolorosa? I volontari sono riusciti lo stesso a svolgere il loro lavoro?
Fino a quando non è iniziata la pandemia, nelle sale d’attesa degli ospedali coinvolti venivano posizionati appositi cestini con all’interno gomitoli e ferretti e le volontarie dell’Associazione coinvolgevano le donne nell’attività, insegnando le basi a chi non l’aveva mai fatto e affiancando chi era già capace. Concluso il periodo di attesa, il lavoro veniva lasciato lì e la donna che sarebbe arrivata dopo avrebbe ripreso in mano il lavoro. Con il Covid lo scambio di oggetti non è stato più possibile, perciò Gomitolorosa ha inventato degli appositi kit personali – contenenti un gomitolo, un uncinetto e uno schema con le istruzioni sui punti da seguire – che le donne hanno potuto portare anche a casa per coltivare l’attività del lavoro a maglia fuori dalla sala d’attesa. In questa occasione, è stato lanciato anche un progetto in tutta Italia, ovvero la realizzazione collettiva delle coperte a esagoni destinate ai più bisognosi nei mesi più freddi.
La pandemia ha portato un notevole incremento di richieste da parte delle volontarie di lavorare a maglia, conseguenza dell’aumento di tempo libero a disposizione e della necessità di rimanere connessi in un periodo di così duro isolamento. Gomitolorosa non solo ha recuperato il doppio della lana degli altri anni, ma non ha mai smesso di consegnare gomitoli nelle case delle proprie amiche.
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