Il gioco degli scacchi è una “ginnastica per la mente”‘, soprattutto per giocatori over50. Lo dimostrano numerosi studi condotti in centri di ricerca e università europee e americane, da Edimburgo al Texas. Lo dimostra, ancora di più, la storia di alcuni giocatori diventati celebri. Come nasce l’antica “arte” degli scacchi?
Per risalire all’origine degli scacchi è opportuno fare un salto indietro nella storia e tornare nell’antico Egitto. All’interno delle tombe sono stati ritrovati – tra gli altri – oggetti simili a scacchiere: le modalità di gioco però non sono note. Anche dall’India ci sono testimonianze di manufatti molto somiglianti alle scacchiere che risalgono a oltre 1500 anni fa. Si deve ai persiani, invece, la nascita dell’espressione “scacco matto”, ovvero “il re è sconfitto”. Il gioco degli scacchi è poi approdato in Europa con un regolamento tutt’ora in vigore. E sono l’abilità di gioco, l’attività di memoria e la concentrazione a garantire benessere alla mente, come dimostrato da studi e ricerche. A dirlo è anche il ‘Brain Care’.
I benefici degli scacchi sulla mente umana
Il gioco degli scacchi stimola processi cognitivi, tra questo il problem solving. Lo dice il centro ‘Brain care’, un’eccellenza italiana che studia il potenziamento cognitivo di persone con disabilità. In un recente studio ha messo in evidenza anche una correlazione tra il gioco degli scacchi e la prevenzione della demenza. “Più il cervello viene attivato, più mantiene la sua plasticità, che a partire dai 50 anni diventa fondamentale per rallentare il naturale declino delle nostre facoltà cognitive. Come la working memory, che inizia a peggiorare dopo i 45 anni, o il controllo emotivo, che subisce un calo a partire dai 65 anni. Qualunque passatempo che impegni il nostro cervello è utile per contrastare questi effetti del tempo che passa“. Queste le parole di Anna Cantagallo, neurologa e fisiatra, direttore scientifico del centro clinico Brain Care e docente di Neuropsicologia dell’Università di Reggio Calabria, rilasciate durante un’intervista al quotidiano la Repubblica.
I grandi scacchisti della storia
Alcuni studi, inoltre, realizzati con l’utilizzo di tecniche che visualizzano le parti del cervello sono più attive in una particolare situazione (come la PETI), indicano che gli scacchi «mettono in gioco» entrambi gli emisferi. Un giocatore esperto, infatti, deve utilizzare tanto l’emisfero sinistro quanto il destro, coinvolto nei problemi di tipo spazio-temporale, nella memoria visuo-spaziale, nelle visioni d’insieme, – come riporta medicinaonline.it – . Basti pensare che uno dei più noti scacchisti della storia, il tedesco Emanuel Lasker, era in grado di giocare cinque partite allo stesso tempo, mentre il russo Alexander Alekhin nel 1925 giocò simultaneamente, e con un altro campione, su ben 28 scacchiere vincendo 22 partite.
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