Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza. Emerge così l’Italia dell’anno dell’emergenza nel 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Un’Italia più severa contro chi non rispetta le regole, più individualista, impaurita. Su alcune questioni, però, gli over 65 si discostano dalle opinioni della generalità della popolazione. E le differenze tra le generazioni a tratti sono molto evidenti. E i temi non sono di poco conto.
Meno libertà, più vita
In questo anno eccezionale, lo Stato è divenuto il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Allora «meglio sudditi che morti», scrive il Censis. Ma quali sono le differenze di vedute e di opinioni tra le generazioni su questo tema?
Il dato generale dice che il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale.
Su questo appaiono meno convinti gli over 65, i quali si spaccano a metà e solo il 52% si trova d’accordo con tale affermazione. Sono comunque meno dei giovani, questi ultimi più favorevoli alla “sudditanza” (64,7%). Quindi, segue la fascia di età 35-64 anni con il 58,1%.
Il 38,5% è pronto persino a rinunciare ai propri diritti civili in nome di un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscrizione a sindacati e associazioni. Anche in questo caso gli over 65 si allontanano dall’opinione generale: solo il 30% di loro metterebbe da parte i propri diritti civili. I giovani, invece, sono i più convinti (44,6%), un po’ meno la fascia 34-64 anni (40,3%).
Sanzioni per chi non rispetta le regole
Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Su questo punto gli over 65 si dimostrano più “tolleranti”: è d’accordo su pene più severe il 69% contro l’82,5% dei giovani e il 78% della classe 35-64 anni.
E ancora: il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza (politici, dirigenti della sanità o altri), debba pagare per gli errori commessi. La più severa in questo caso è la fascia d’età 35-64 anni con l’82,8% dei favorevoli. Seguono i giovani (80,7%) e gli anziani (62,6%).
Il dato generale medio con il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Ma anche su questo solo il 36,5% degli over 65 è d’accordo. Valori doppi nelle altre classi di età: 64,7% tra i giovani e 63,9% nella classe di età 35-64 anni.
Chi deve essere curato prima
Davanti all’affermazione: «In periodi di emergenza (come quella del Covid-19) è giusto dare la priorità ai giovani», cosa pensano gli italiani? Il 49,3% dei giovani ritiene giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. E cosa ne dicono gli anziani? È d’accordo il 38,7. Meno la fascia tra i 35 e i 64 anni.
Ma gli anziani sono più generosi anche rispetto a chi si ammala per non aver rispettato le regole: solo il 17% dichiara infatti che non dovrebbero essere curati o curati dopo gli altri. È un dato molto inferiore se confrontato con quello medio nazionale del 31,2% che vede ancora i giovani in lizza con il 37,9% dei favorevoli e i 35-64enni con il 35,9%.
D’accordo sulla pena di morte? Non lo sono 8 senior su 10
«Tra antichi risentimenti e nuove inquietudini e malcontenti, persino una misura indicibile per la società italiana come la pena di morte torna nella sfera del praticabile», scrive il Censis. Infatti, a sorpresa, il 43,7% degli italiani è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento. Un dato che sale a più della metà dei favorevoli tra i 35-64enni (54,8%), scende al 44,7% tra i giovani e precipita al 21,9% tra gli over 65.
I pensionati del silver welfare
Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Il dato rispecchia più o meno tutte le fasce di età. Su tutti, i garantiti assoluti: i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione – una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un “silver welfare” informale.
Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva.
C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e – nel Paese dell’autoimprenditorialità – solo il 13% lo considera ancora un’opportunità.
La bonus economy può generare dipendenza
A ottobre i sussidi erogati dall’Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa.
La valutazione positiva dei bonus è molto alta tra i giovani (83,9%), più che tra gli anziani (65,7%). Per questi ultimi è un meccanismo che può generare dipendenza (25,1%) e rischia di mandare fuori controllo il debito pubblico (18,1%). Ma solo il 17,6% dei titolari di impresa ritiene che le misure di sostegno saranno sufficienti a contrastare le conseguenze economiche dell’emergenza.
Un anziano su tre escluso dal mondo digitale
La rete ha rivoluzionato le abitudini degli italiani. Secondo un’indagine del Censis, l’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza la connessione internet fissa a casa e che è stata sufficiente.
Oltre il 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Però appare chiara una criticità: la generazione più anziana è quella che per un terzo (il 32,6%) si autoesclude completamente dal mondo digitale. Almeno per il 4,7%, però, l’isolamento è stato anche la spinta per attrezzarsi e iniziare a utilizzare chat e piattaforme.
Una vita da remoto: i giovani più stanchi, gli anziani meno
Il lockdown ha generato nuovi utenti e ha rafforzato l’uso della rete da parte dei soggetti già esperti. Ma almeno un quarto della popolazione a un certo punto è andata in sofferenza. Anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell’uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate. Il 57,6% degli anziani, invece, continua ad apprezzare le possibilità di contatto della rete.
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