I consumatori abituali di caffè sostengono di beneficiare degli effetti della caffeina in termini di contrasto al sonno, alla fatica e aumento delle prestazioni cognitive e dell’efficienza.
Ma se è vero che le bevande a base di caffeina hanno un’azione psicoattiva accertata, bisogna anche considerare, negli effetti ottenuti, le aspettative e il contesto di chi assume il caffè.
A dirlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori portoghesi, pubblicato su Frontiers in Behavioral Neuroscinece, che indaga, oltre che sulle proprietà della caffeina, sull’effetto attivante dovuto all’esperienza di bere il caffè.
La ricerca
I 47 soggetti campione non dovevano avere disturbi neurologici o psichiatrici, fare uso di sostanze che alterino la mente e dovevano bere almeno una tazza di caffè al giorno. Inoltre, dovevano astenersi dal consumare bevande o cibi contenenti caffeina tre ore prima dell’inizio dello studio. A ciascuno sono state eseguite due brevi risonanze magnetiche funzionali, una prima e una trenta minuti dopo l’assunzione di caffeina o di una tazza di caffè.
I risultati
Gli studiosi hanno scoperto che la connettività del default mode network, la rete cerebrale associata all’introspezione e ai processi di autoriflessione, diminuiva dopo l’assunzione di caffeina o caffè e rappresentava dunque la prova che consumare caffeina o caffè ci rende più attivi. Ciononostante, bere caffè aumentava anche la connettività nelle regioni del cervello associate alla memoria di lavoro, al controllo cognitivo e al comportamento per obiettivi, ma non accadeva la stessa cosa assumendo caffeina in altre forme.
Effetto placebo?
I limiti metodologici della ricerca, come hanno sottolineato gli stessi autori, sono rappresentati dall’assenza di un campione di controllo composto da soggetti che non bevono caffè e di un altro che assume il caffè decaffeinato. L’aspetto importante, che apre il campo a nuove indagini, è invece l’aver scoperto che sia la caffeina che l’aspettativa del consumo di caffeina migliorano l’attenzione e la velocità psicomotoria. Altri fattori come il gusto e l’odore associati alla bevanda potrebbero già influenzare il beneficio attribuito dai consumatori, in una sorta di combinazione tra effetti reali associabili alla sostanza e placebo.
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