«I vecchi sono spesso vittime delle ingiustizie e soccombono; hanno però anche la forza morale di porsi come protagonisti di atti di generosità eroica»
Le guerre hanno sempre colpito più duramente le persone fragili, i vecchi e bambini, perché dipendenti dalle cure delle loro comunità, che non trovano il tempo di difendere se stesse e quindi chi al proprio interno avrebbe più bisogno di protezione. La tragica realtà di questi mesi, in due aree del mondo dove si combatte, Israele e l’Ucraina, ha messo in luce senza pietà come i vecchi siano abbandonati al loro destino; non si tratta di una decisione razionale dei contendenti, ma di una situazione di fatto, sulla quale è inutile esercitare critiche moralistiche. Anche la società più attenta e generosa è vittima della paralisi di ogni azione, che in tempo di guerra non sia l’aggressione o la difesa.
Recentemente ha suscitato particolare attenzione la condizione dell’86enne preso in ostaggio da Hamas nell’ambito della guerra contro Israele. L’anziano è stato usato come strumento per stimolare compassione, senza nessuna attenzione per la sua personale sofferenza. Oggettivamente è anche impressionate che, a quell’età e in quelle condizioni, sia sopravvissuto così a lungo; c’è da sperare che abbia ricevuto un trattamento particolare, perché così sarebbe rimasto in vita più a lungo con la possibilità di stimolare la compassione di chi deve decidere lo scambio tra gli ostaggi e la sospensione temporanea della battaglia.
Non, quindi, compassione per una persona molto vecchia, ma sfruttamento della sua età per suscitare pietà nel cuore duro dei contendenti. Più in generale, lo stato di guerra causa negli anziani una serie drammatica di conseguenze sul piano della salute fisica e psichica.
La guerra provoca infatti in un certo paese la riduzione dei servizi sanitari in generale, perché le risorse economiche e organizzative sono dedicate alla guerra e perché l’impegno bellico impone di curare prima di tutto le persone in grado di combattere. Perché dedicare lavoro di cura ai vecchi che non sono più in grado di combattere, rinunciando così a difendere la salute di chi è forte e quindi pronto alla lotta? È una frase disumana, però è diffusa nei paesi in guerra. È una posizione che ricorda il tempo drammatico del Covid-19, quando la cura di chi era anziano era messa in seconda posizione rispetto a quelle da dedicare ai giovani e agli adulti.
Allora gli eventi drammatici, e mai prima sperimentati nella nostra convivenza civile, hanno, almeno in parte, giustificato le scelte; ma la guerra è un evento governato dall’uomo, che nel momento stesso di iniziare a combattere, qualsiasi sia la sua motivazione, accetta le conseguenze disastrose della decisione stessa. D’altra parte, vi sono anche gravi conseguenze psicologiche; l’anziano teme di essere esposto a rischi mortali o anche solo alle difficoltà di ricevere cure adeguate nel caso di una malattia. Perde ogni speranza nel futuro, condizione che è il più forte traino per vivere a lungo, senza abbandonarsi alla disperazione e alla rinuncia di qualsiasi impegno vitale.
Un altro sentimento che rende drammaticamente pesante la vita dell’anziano in tempo di guerra è la solitudine, la sensazione che le famiglie siano impegnate nella propria sopravvivenza e quindi non abbiano tempo e attenzione da dedicare per consolare chi ha paura, chi vede buio nel buio. Oggi la scienza medica ha ampiamente documentato che la solitudine è causa di malattia, trasformandosi da condizione psicologica a condizioni di salute più o meno gravi del corpo e della mente. Se questo è vero, la persona anziana in tempo di guerra vive la desolazione della solitudine che aumenta il rischio di malattia, in un quadro generale di ridotta capacità di rispondervi con servizi adeguati.
I bombardamenti subiti dagli ospedali ucraini e nella striscia di Gaza dimostrano come nei periodi di guerra non vi è alcuna pietà verso le persone più sfortunate come gli ammalati, i cui luoghi di vita andrebbero rispettati senza alcuna scusa. Si pensi anche alle case di riposo colpite in Ucraina; oltre all’effetto dei danni degli edifici e agli ospiti non si deve dimenticare l’effetto psicologicamente mortale sugli anziani di una comunità, che vedono distruggere i luoghi sicuri per il loro futuro. In conclusione, è però doveroso ricordare la “carovana dei nonni” di Israele, che si sono presentati alla barriera con la striscia di Gaza per offrirsi prigionieri al posto delle nipoti e dei nipoti detenuti come ostaggi. Questa conclusione dell’articolo contiene un messaggio: i vecchi sono spesso vittime delle ingiustizie e soccombono; hanno però anche la forza morale di porsi come protagonisti di atti di generosità eroica.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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