L’emergenza sanitaria non ha spalancato solo la porta a nuove povertà, ma ha liberato energie inespresse di solidarietà. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto della Caritas Italiana.
La pandemia ha fatto emergere le disuguaglianze, ha creato nuove povertà e altrettanti bisogni da soddisfare, ma le realtà solidali nei territori sono cresciute e si confermano un aiuto imprescindibile per i più fragili. A dirlo è l’ultimo Rapporto di Caritas Italiana, pubblicato lo scorso 17 ottobre in occasione della “Giornata mondiale di contrasto alla povertà”, e realizzato raccogliendo i dati di tre monitoraggi nazionali effettuati ad aprile, in pieno lockdown, a giugno, dopo la riapertura dei confini regionali, e a settembre, dopo il periodo estivo.
«Abbiamo analizzato due momenti – spiega a 50&Più Federica De Lauso, una delle curatrici del Rapporto e ricercatrice del Centro Studi di Caritas Italiana -, il primo è stato quello della dura emergenza legato allo stop forzato, dove c’è stata un’impennata di richieste d’aiuto, mentre il secondo ha fotografato una lenta e incerta ripartenza avvenuta nel periodo estivo».
Quante sono state le richieste di aiuto? Da parte di chi sono arrivate?
Nella fase di lockdown stretto abbiamo superato le 450mila richieste di altrettante persone, che presumibilmente si fanno portatrici dei bisogni dei loro nuclei familiari. Fra marzo e maggio c’è stato un forte incremento dei nuovi poveri, che prima non avevano mai sperimentato situazioni di fragilità, pensiamo ai titolari di piccole attività nel commercio e nella ristorazione, agli autonomi, a chi era in attesa della cassa integrazione che non arrivava, ai lavoratori irregolari e ai disoccupati che già partivano da una situazione di difficoltà. Nella seconda fase, che abbiamo analizzato a settembre, abbiamo notato un miglioramento perché nei mesi estivi il numero di richieste si è dimezzato. Se però si confrontano i dati 2020 con quelli dello stesso periodo del 2019 si rileva una crescita dei poveri del 12%, che va a modificare il profilo stesso della povertà, che si “normalizza”, un po’ come era accaduto nel 2008 con la crisi economica, quando siamo passati da 1,7 milioni a cinque milioni di soggetti sotto la soglia di povertà. Oggi, la crisi legata alla pandemia va a toccare chi finora era al riparo: nuclei familiari con figli, sempre più spesso italiani, con un incremento degli under 34 e delle donne, più svantaggiati sul mercato del lavoro e legati a forme di precariato e part time che, nel 60% dei casi, è involontario.
Come si sono attivate le Caritas diocesane?
Sin dai primi giorni dell’emergenza si sono impegnate rimodulando dove necessario le attività, come i centri d’ascolto che, non potendo più lavorare in presenza, sono diventati telefonici. Non solo si rispondeva alle chiamate ma, in molti casi, erano gli operatori che contattavano per primi quelle persone e famiglie che sapevano essere più fragili, con situazioni di solitudine o magari sottoposti a quarantena. Per la distribuzione dei pasti ci si è organizzati con la consegna a domicilio. C’è stata poi la distribuzione di oltre 400mila dispositivi di protezione, solo nei primi tre mesi di emergenza. È stata attivata anche l’assistenza domiciliare, oltre agli ambulatori, e per i senza fissa dimora sono stati fatti dei monitoraggi per verificarne lo stato di salute; inoltre, sono state crete nuove strutture residenziali da adibire a dormitori, proprio perché la pandemia sta accentuando le disuguaglianze e il messaggio “restate a casa” suonava in modo diverso per chi una casa non ce l’ha. Sono stati distribuiti tablet con la connessione a internet ai ragazzi sprovvisti di uno strumento per accedere alla didattica a distanza e, infine, sono stati assegnati dei fondi diocesani dedicati a sostenere piccoli commercianti e autonomi per il pagamento degli affitti, delle rate del mutuo e delle utenze. In totale sono stati supportati oltre duemila lavoratori.
Che ruolo hanno avuto i volontari a fianco degli operatori?
Abbiamo fatto una sorta di censimento dei volontari, anche se i dati sono parziali perché non tutte le Caritas dei territori sono state in grado di fornire numeri precisi, ma comunque parliamo di 62mila persone censite che hanno aiutato gli operatori delle Caritas diocesane. Fra i volontari, circa 18mila sono over 65 e, purtroppo, durante il lockdown hanno dovuto sospendere le attività, ma a fronte di questo stop forzato c’è stato un incremento dei giovani, almeno 5mila, che hanno sentito il bisogno di mettersi a disposizione. Per questo abbiamo voluto intitolare il Rapporto Gli anticorpi della solidarietà, per enfatizzare questo aspetto. Inoltre, dai territori c’è stata una risposta immediata, e aziende, supermercati si sono messi a disposizione, hanno organizzato collette, distribuito beni. Insomma, la cosa positiva è stata l’impennata della partecipazione sociale, del sentirsi parte di una comunità.
È una tendenza che potrebbe andare avanti anche nel prossimo futuro?
Abbiamo chiesto ai direttori delle Caritas se, secondo il loro punto di vista, si possa contare su questa nuova spinta anche in futuro. Il 15% di loro non è stato in grado di rispondere, il 40% pensa che ci sarà un calo – soprattutto fra i giovani che, con la ripresa delle normali attività, torneranno ad avere meno tempo libero -, l’altro 45% è convinto che queste nuove risorse resteranno perché c’è un cambiamento positivo nell’approccio. Dunque si può ben sperare.
© Riproduzione riservata