Non solo sovraffollate, ora anche tra le più anziane in Europa. Nelle carceri italiane cresce la popolazione di età pari o superiore ai 50 anni. Secondo l’ultimo rapporto Space del Consiglio UE rappresentano il 28% dei detenuti, la percentuale più alta
È un primato al “negativo” che non ha nulla a che vedere con quello guadagnato della longevità. L’età media della popolazione carceraria italiana sale, ma è un frutto avvelenato, una distorsione figlia dei tempi in cui viviamo e di una disfunzione che attraverserebbe il rapporto tra sistema carcerario e applicazione della giustizia. È cresciuta nel corso degli anni e, al 31 gennaio del 2022, secondo i dati dell’ultimo Rapporto Space – Statistiques Pénales Annuelles du Conseil de l’Europe ovvero le Statistiche Penali Annuali del Consiglio d’Europa pubblicate a giugno – risulta essere tra le più alte del resto dell’Unione: 42 anni. Peggio di noi fa solo la Georgia con 44 anni, mentre siamo tallonati da Portogallo con 41 e da Estonia e Spagna, ex aequo con 40.
Nonostante il nostro tasso di popolazione carceraria non risulti tra i più elevati (abbiamo circa 90 detenuti ogni 100mila abitanti, abbastanza distanti dall’attuale media europea tra 104 e 117), un altro dato colpisce da subito: abbiamo la percentuale più alta (28%) di detenuti con un’età pari o superiore ai 50 anni. Ci seguono Comunità Autonoma di Spagna (25%), Portogallo e Norvegia (entrambi al 24%). Così come il tasso di detenuti con o più di 65 anni resta elevato (4,7%), sebbene più basso rispetto a Macedonia del Nord (8,3%), Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina (6,6%) e Bulgaria (5,6%).
In carcere si invecchia sempre di più
Secondo i dati del Rapporto Space, in media il 16,5% circa dei detenuti in Europa ha 50 anni o più e il 3% ne ha 65 o più. Il maggiore invecchiamento nelle nostre carceri è quindi evidente. Un’evidenza, a detta dello stesso Consiglio d’Europa, dovuta a due fattori: la struttura generale della nostra popolazione carceraria; il fatto che molti detenuti di età pari o superiore ai 65 anni appartengano a specifiche categorie di delinquenti, come ex boss mafiosi condannati all’ergastolo.
I dati elaborati di recente dall’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, associazione nata alla fine degli Anni ’80 per i diritti e le garanzie nel sistema penale, confermano il “passare degli anni” per chi è in carcere. Secondo il XIX Rapporto sulle condizioni di detenzione, infatti, l’età media dei reclusi è salita: a fine 2022 gli over 50 erano il 29%, ma solo dieci anni prima, a fine 2011, erano il 17%. Nello stesso periodo gli over 70 sono passati da 571 (1%) a 1.117 (2%), raddoppiando. Questa situazione rischia di diventare l’incubatore di nuovi problemi. Una popolazione detenuta più anziana da una parte espone ad una più complessa domanda di salute, dall’altra ad isolamento sociale, a maggiori difficoltà di reinserimento, in particolare nel mercato del lavoro.
L’attesa di giudizio e il rischio di affollamento
A incidere sulla vita in carcere sono i “tempi” della macchina della giustizia e della detenzione. L’Italia, abbiamo detto, presenta un’età media dei detenuti più elevata, nonché la più alta percentuale di quelli con un’età pari o superiore ai 50 anni. Ma la stessa cosa accade in Spagna e Portogallo con cui abbiamo in comune un altro elemento: la durata media della detenzione, più lunga rispetto al resto d’Europa. Nel nostro Paese è di 18 mesi, in Spagna di 20,5 e in Portogallo di quasi 31. Se paragonati agli 11 della media europea, molte cose cominciano ad essere più chiare. È soprattutto il problema dei “tempi di attesa”, pertanto, a creare un paradosso: abbiamo carceri più affollate persino dinanzi una minore incidenza di reati. Secondo i dati del Rapporto Space, infatti, il 30% dei 54.372 detenuti censiti a fine gennaio 2022 non stava scontando una pena definitiva. Attendeva invece il giudizio di terzo grado, quindi la scarcerazione o il prolungamento della detenzione. A questo si aggiunge che, tra il 2021 e il 2022, la fine delle misure restrittive imposte a causa del Covid-19 ha fatto salire in tutta l’UE il tasso mediano di detenzione a +2,3%. L’Italia, purtroppo, fa parte di quei Paesi con densità carceraria superiore a 100 detenuti per 100 posti: 107 circa. Un sovraffollamento “grave” che corrisponde a 1,7 detenuti per cella.
Ancora una volta i dati elaborati nel XIX Rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone confermano una tendenza al sovraffollamento: dal 30 aprile dello scorso anno la capienza ufficiale sarebbe cresciuta dello 0,8% contro un +3,8% di presenze. La popolazione detenuta sarebbe aumentata soprattutto in Trentino-Alto Adige (+11,7%), Calabria (+9%) e Lazio (+7,5%), e ad oggi le regioni con i sistemi carcerari più ingolfati, a fronte del tasso medio di affollamento, risulterebbero essere Puglia (137,3%), Lombardia (133,3%) e Liguria (126,5%).
Una popolazione carceraria che torna a crescere
Per il Rapporto di Antigone la risalita della popolazione carceraria si lega a doppio filo ad un andamento più articolato delle pene detentive. Sono aumentati soprattutto i reclusi in carcere per quelle brevi: le condanne ad un anno sono passate dal 3,1% del 2021 al 3,7% del 2022; le condanne fino a tre anni dal 19,1% al 20,3%. Nel 2011 entrambi i valori erano più alti (rispettivamente il 7,2% ed il 28,3%), poi sono scesi grazie anche alle misure restrittive e di divieto di circolazione dovute alla pandemia.
Anche nel resto d’Europa, secondo i dati del Rapporto Space, c’è la medesima tendenza (vedi sopra) con un tasso mediano di detenzione in aumento. Da una parte l’incremento sancisce un ritorno alla “normalità” nel funzionamento dei sistemi di giustizia penale dopo la parentesi Covid; dall’altra, il tasso di detenzione europeo nel 2022 è rimasto inferiore rispetto a quello pre-Covid, con alcune amministrazioni penitenziarie che hanno attuato una significativa diminuzione. Si tratta di Bulgaria (-8%), Estonia (-6,3%) e Germania (-5,5%).
C’è da considerare inoltre che l’Italia fa parte di quei Paesi del Consiglio d’Europa in cui l’ergastolo è piuttosto duro. In Svizzera, ad esempio, un detenuto condannato a tale pena è idoneo alla libertà condizionata dopo 10 o 15 anni in base alla situazione. Nel nostro Paese, invece, dopo 21 o 26 anni; in Francia dopo 18-22 anni, in Spagna si va dai 25 ai 35 anni, mentre in Belgio il periodo può essere di 15, 19 o 23 anni. Sul lungo periodo, anche questo può avere un effetto sulla densità della popolazione carceraria.
Segnali allarmanti cresce il tasso di suicidi
Il 2022 è stato l’annus horribilis delle carceri italiane per numero di suicidi: 85 episodi, il tasso più alto mai registrato negli ultimi dieci anni. Segno certo che qualcosa non va se un detenuto ogni quattro giorni si è tolto la vita. Un numero così elevato da spingere il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà ad avviare e pubblicare uno studio, per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari. E la Corte Europea dei Diritti Umani ad emettere due condanne verso l’Italia: una per mancanza di misure per evitare il suicidio di un carcerato con disturbi psichici, la seconda per i tempi troppo lunghi per trasferire in una Rems (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) un altro detenuto con disturbi simili.
Il fenomeno è ancora più allarmante se rapportato alle statistiche della popolazione reclusa: rispetto al 2012 ci sono ben 11.687 detenuti in meno ma abbiamo 23 suicidi in più, se paragonati allo stesso anno. Il “tasso di suicidi” nel 2022 è salito a 15,4 casi ogni 10.000 detenuti, il valore più alto di sempre (nel 2001 si era attestato al massimo a 12,5 casi ogni 10.000 persone).
Quasi la metà dei suicidi aveva alle spalle storie di fragilità personale e sociale, difficoltà di reinserimento, percezione dello stigma del carcere. Tra coloro che hanno deciso di togliersi la vita lo scorso anno c’era anche un uomo di 83 anni. Avrebbe terminato di scontare la sua pena nel 2030, l’ha fatta finita invece mentre era in isolamento per Covid.
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