Scrive Marc Augè, etnologo e scrittore, ex presidente dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, nel suo libro intitolato Il tempo senza età (sottotitolo: La vecchiaia non esiste): «L’età avanza ed è meglio accoglierla bene considerato che l’animale è permaloso e potrebbe essere tentato di farla pagare a chi, con il suo silenzio, facesse finta di non riconoscerlo. Certo i mezzi per manifestare la sua presenza non gli mancano, meglio quindi accarezzarlo nel verso del pelo e stare all’erta. Insomma, alla vecchiaia va dato il benvenuto, bisogna inchinarsi al suo orgoglio e impunemente enumerare con entusiasmo i doni che, quale un Babbo Natale, estrarrà generosamente dal suo sacco».
È un bel libro. Sottilmente sconsolato, ottimista con intelligenza. È stato pubblicato nel 2014 e Augè è nato nel 1935, l’ha scritto, perciò, quando era vicino agli 80 anni.
Enumera, come vantaggi dell’età: la saggezza dell’esperienza, la tranquillità carnale legata alla dissoluzione pressoché totale della libido, la gioia dello studio, i piccoli piaceri quotidiani.
Mi sembra un po’ debole, come linea di difesa dall’angoscia di invecchiare (a chi non è capitato, almeno una volta, di provarla, nonostante la buona volontà di pensare positivo?).
Perché mi sembra un po’ debole? Primo, perché “la gioia dello studio” è garantita per un vecchio accademico come lui, ma non per tutti. Se hai scaricato casse o spaccato pietre o accolto clienti in un negozio per tutta la vita, non è così facile praticare, arrivati al “terzo tempo”, “la gioia dello studio”. Si può continuare a studiare se hai studiato tutta la vita, ma incominciare? Forse sì, ma è più difficile.
Secondo: la saggezza dell’esperienza. Nego che aver vissuto e sperimentato molto porti meccanicamente alla saggezza; porta alla lucidità, ad una forma acuta di intelligenza del reale (quasi una malattia), ma la saggezza non è affatto garantita. Terzo: la pace dei sensi. Certo, è più probabile. Ma siamo sicuri di volerla? Siamo sicuri che l’assenza di desiderio ci faccia stare bene? Non conosco nessuno che se la auguri.
Io penso che “i regali” che la vecchiaia ha in serbo per noi siano altri: innanzitutto la caduta delle maschere sociali, quelle dietro cui, nelle età centrali della vita, ma soprattutto nella giovinezza, celiamo, nascondiamo la nostra vera natura, i nostri più autentici sentimenti, le nostre convinzioni e le nostre idiosincrasie.
Tutte le volte che mi voglio consolare, per l’inevitabile aritmetica del tempo, penso a quanto sono diventata sincera. E a quanto mi piace esserlo.
Pochi giorni fa presentavo il mio ultimo romanzo a Milano (L’amore che dura, Bompiani), alla Feltrinelli di Piazza Duomo. Davanti a me c’erano un centinaio di persone, sedute educatamente sulle sedie allineate per l’evento.
Bene, ci credete? Parlavo ed era come se mi rivolgessi non ad un “pubblico” ma alla mia migliore amica, seduta sul letto, sola con lei nella mia cameretta di ragazza. Parlavo con passione, sincerità, e una sorta di intimità selvaggia, indomabile.
Le parole scorrevano, si inseguivano e non facevo niente per fermarle. Nascevano da qualche anfratto interiore, uscivano senza che facessi in tempo a sceglierle, a lucidarle o a scartarle.
Mi ha svegliata un applauso. Ero come in trance.
Travolta dalla mia stessa sincerità.
Sì, è un regalo dei sessanta e più, questa capacità di abbattere le barriere fra te e gli altri.
Diventi accogliente.
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