Glauco Magini. Laureato in Medicina e Chirurgia e specialista in Cardiologia e Reumatologia. Cardiologo ospedaliero fino al pensionamento, è stato Direttore della Cardiologia dell’Ospedale di Livorno. Ha contribuito a fondare una Associazione di volontariato, nella quale tutt’ora opera, nella riabilitazione dei cardiopatici, nella diffusione della cultura della prevenzione e nella lotta all’arresto cardiaco. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta, nel 2023 ha vinto la Libellula 50&Più per la poesia.
Terminato il lavoro in officina, ha inforcato il motorino per andare all’appuntamento, ma è presto, manca ancora mezz’ora all’uscita da scuola.
Vagolando come una bolla di sapone, a braccia aperte accenna a fluenti passi di danza e si specchia più volte nelle vetrine, senza vedersi. I passanti lo guardano curiosi, ma lui, dimentico del mondo intero, sorride, salta e piroetta: ieri la sua ragazza gli ha detto di essere incinta. Non può star fermo e si mette di nuovo a saltare, pennellando immaginari canestri con fluidi movimenti del braccio e del polso.
Guarda e riguarda l’orologio, non vuole far tardi per andare a prendere Giulia e poi a parlare con i suoi genitori. Già, quei genitori così tradizionalisti, che gli fanno la mente in subbuglio e le gote di fuoco, come avrebbero reagito? Offese? Lacrime? Minacce? Ha la cenere in bocca, il cuore a mille, un buco nello stomaco e non riesce a concentrarsi per trovare le parole adatte.
Ecco, è l’ora! Ma vicino alla scuola s’imbatte in una vecchia che vorrebbe leggergli la mano e al suo frettoloso rifiuto quell’accozzaglia di stracci neri gli inanella dietro maledizioni e sventure. Per di più, Marco si accorge improvvisamente di avere addosso la tuta sporca di grasso. Un oscuro presagio gli intorbida il sorriso, ma solo per un attimo, perché gli studenti iniziano a sciamare dal portone del liceo, sparpagliandosi nella strada, e Giulia è là nel mezzo, da sola. Il vestitino verde, il foulard giallo alla vita, la lunga treccia bruna sono macchie di colore nella tavolozza assolata della piazza. È così bella, da fargli girare la testa e rallentare il respiro. Si inabissa in quegli occhi da bambina e dimentica tutto. Avvolto tra le sue braccia e il pulito profumo di zagara dei capelli, le dice: “Ciao, principessa. Allora, si va dai tuoi?”. “Sì, Marco, se te la senti, altrimenti si va un’altra volta”.
Le loro labbra impazienti s’incontrano, poi via, insieme, sullo scooter. Giulia gli cinge la vita da dietro, i caschi si urtano. Lui freme al contatto di lei, morbida sulla sua schiena. Ogni tanto la guarda nello specchietto, con la sinistra le accarezza la gamba, pensa che non c’è nulla di più bello e assapora i suoi sentimenti. Oggi, gli piace ancor più il sole sulla pelle, l’odore dell’estate, il canto delle cicale, il vento sul viso, le reazioni di molle e ammortizzatori alle rughe del nero nastro che sfugge sotto le ruote. Cullato dal ritmo del motore, col pensiero torna al giorno prima. All’uscita di scuola, lei gli era corsa incontro – il sorriso solare le era sorto prima negli occhi e poi sulle labbra – e con la testa affondata tra i riccioli gli aveva detto del risultato del test e dell’ecografia.
Ora Marco sorride, ha gli occhi lucidi, un nodo alla gola e nel cuore il cielo stellato. Al diavolo i rimproveri, i giudizi della gente, le difficoltà, gli anatemi della vecchia! Adesso la sua vita ha un senso, è un uomo sicuro di sé, sa cosa vuole.
E non importa che la strada, tremolante sotto il sole e deserta a quell’ora, lo porti a parlare con quel padre che dicono scorbutico e dispotico. Sa solo che è la strada del suo futuro. Vorrebbe cantare, fare pazzie. E allora si mette a toreare con le curve e ruota ancor più la manopola destra, inconsapevole della lancetta del tachimetro e delle case cintate, delle siepi, degli alberi e dei distributori che sfilano veloci nella campagna increspata come una coperta a patchwork.
Mentre scala la marcia prima del tornante, l’autista del furgone che trasporta frigoriferi ascolta musica dagli auricolari. D’improvviso vede i due che gli vengono contro. È un attimo. All’uscita dalla curva, Marco se lo trova di fronte. Frena con tutta la forza, ma la strada s’impenna, ondeggia come il dorso di un puledro selvaggio. La sella vuole sfuggirgli di sotto. Sente le mani di Giulia abbandonarlo e lei scollarsi dalla sua schiena. Le ruote bloccate del grosso automezzo lasciano una striscia nera sull’asfalto, ma non riescono a fermarlo. Marco stringe ancora il manubrio quando va a sbattere contro il muso del furgone.
Un tonfo e d’improvviso per lui tutto è buio e silenzio.
Dal profondo nulla che pian piano si crepa, affiora lentamente. Non riesce a muoversi. Riesce ad aprire solo un occhio e dal grigio sfuocato emerge vicino il nero ruvido dell’asfalto. Sullo sfondo Giulia, seduta a terra, appoggiata a una siepe sul ciglio della strada, che si guarda intorno e poi sorride stranita a un uomo che l’aiuta a rialzarsi. Cerca di chiamarla, ma dalla bocca esce solo un debole gemito.
Nella testa di Marco turbinano il tempo di ieri, le domande, le attese di oggi. Qualcuno parla, ma è solo un’eco lontana. Un feroce ronzio copre le parole e il motore dello scooter ancora acceso e vanifica i pensieri, intanto che l’asfalto sotto il suo occhio si va smaltando di rosso. La vista si vela. Nella sua mente si rincorrono vividi lampi di diapositive impazzite: l’immagine d’un neonato; Giulia con le lunghe dita a coprire i piccoli seni; che sorride tra l’imbarazzo e l’amore; che avvampa e mormora: ”Sì, amor mio.” E come allora gli si blocca il respiro e gli gira la testa, ma ora molto di più. Una spaventosa vertigine e una fitta violenta nel cranio lo precipitano di nuovo nel silenzio, nell’oscurità e gli spengono il cielo stellato nel cuore.
In quell’arroventato tornante ora tutto tace. Tacciono le cicale. Anche il motore dello scooter si è fermato. E gli occhi di Giulia riversano muto dolore mentre, abbandonata la speranza, bocca sulla bocca, stringe al petto quel corpo inerte, cui si era donata.