Campione olimpico di canottaggio a Londra 1948, a 95 anni continua a portare avanti la sua passione a Mandello del Lario.
Non è difficile da raggiungere il luogo che, per lui, rappresenta una seconda casa. Sulla strada di Mandello del Lario, infatti, il circolo Canottieri Moto Guzzi è ben visibile. Lo si trova proprio nel punto in cui la roccia, a spiovente, si insinua nel ramo lecchese del Lago di Como. C’è una rete di protezione, un dedalo di fili di acciaio a tenere a bada la montagna. Al di sotto, una strada percorribile a doppio senso costeggia la parete rocciosa. Oltre la strada c’è il Lago, ed una passerella, pedonale, uno zig zag che, percorso nella sua interezza, culmina proprio presso la sede del circolo. È qui che Giuseppe Moioli ha trascorso la maggior parte della sua vita. Lui, classe 1927, è considerato la leggenda del remo italiano. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra del 1948 in “quattro senza”, ha partecipato anche a quelle del 1952 e del 1956. Un palmares unico al suo attivo, che vanta anche quattro Ori vinti ai Campionati Europei del 1947, 1949, 1950 e 1958. Una vita dedicata al canottaggio, la sua. Oggi, alla veneranda età di 95 anni, è la guida tecnica dell’ASD Canottieri Moto Guzzi, che gestisce insieme al suo socio Luigi Riva.
All’ingresso del circolo, dai caratteri cubitali, scende giù un lenzuolo che celebra il ritorno dell’atleta di casa Andrea Panizza dai Giochi Olimpici di Tokyo. Non è arrivata la medaglia questa volta, ma poco importa. Perché il 23enne mandellese ne ha già date di soddisfazioni al suo coach, vincendo medaglie prestigiose. La più importante è arrivata nel 2018 con il successo ai Mondiali nel “quattro di coppia”, vent’anni dopo l’ultima conquista per l’Italia.
E chissà cosa pensa, Giuseppe Moioli, quando vede davanti a sé queste giovani promesse del canottaggio italiano. «Mi piace insegnare, l’importante è vedere quello che non va bene e farlo notare all’allievo». E lui lo fa senza giri di parole, rimproverando bonariamente i suoi atleti. Si rivolge a loro come un nonno, con voce pacata ma tono deciso: «È importante prepararsi bene e fare un buon allenamento. Ma è fondamentale soprattutto sentire la barca, e poi lavorare in pressione massima».
È cambiato il mondo del canottaggio in oltre sessant’anni: «Le barche sono più leggere, sono fatte meglio. Ma si è perso qualcosa – osserva Moioli con rammarico -. Il canottaggio non è sentito più come prima, adesso i ragazzi preferiscono sport meno impegnativi. Noi abbiamo una dozzina di iscritti, ai miei tempi c’erano più di 40 atleti».
Continua a venire qui ogni giorno da Olcio, una frazione che dista una manciata di chilometri da Mandello. E lo fa in bicicletta. Il segreto per arrivare a 95 anni con il suo spirito? «Il segreto è quello di non stare fermi. Io continuo ad andare in bici, ogni tanto uso il remoergometro per fare qualche remata. Sto sempre in movimento, anche se faccio fatica a camminare…», afferma.
Giuseppe Moioli è nato, cresciuto ed ha sempre vissuto in questa piccola oasi di pace, stretta tra il lago e i monti. Racconta così la sua infanzia: «Sono andato poco a scuola, ho iniziato a lavorare presto. Mio padre era un contadino ed io lo aiutavo nei campi. Il lavoro era pesante, dalla mattina alla sera. Remare? Rappresentava un divertimento per me». Ricorda con estrema precisione il momento in cui tutto ebbe inizio, grazie a Franco Faggi, amico-fratello con il quale, anni dopo, avrebbe conquistato l’Oro sotto il cielo di Londra (la squadra olimpica Canottieri Guzzi Mandello, infatti, nel 1948 era composta da Giuseppe Moioli, Elio Morille, Franco Faggi e Giovanni Invernizzi). «Nel mese di aprile ero solito vangare i campi dei vicini. Un giorno stavo lavorando nel terreno di Franco, quando lui mi disse “Perché non vieni a remare oggi?”; io risposi “Beh, magari posso provare”. Ho provato, e sono ancora qui». Certo, nascere e vivere in un paese che si specchia sul lago sicuramente ha aiutato: «A casa avevamo una barchetta stretta e lunga – ricorda Moioli -. Io e mio padre andavamo sempre in barca, li ricordo come momenti di assoluta pace».
Ha uno sguardo vigile quando parla, ed è preciso nelle risposte. Usa spesso il presente, anche quando ricorda avvenimenti risalenti a oltre mezzo secolo fa. «Nel ’52 le cose potevano andare molto meglio, avevamo una buona barca, eravamo i favoriti. Il numero due però ha perso un remo ai 1.500 metri, a causa del passaggio di un motoscafo sulla corsia vicino. Può capitare purtroppo. Eravamo in semifinale e siamo usciti. A vincere poi è stata la Jugoslavia, la stessa squadra che noi avevamo battuto un mese prima. Gli avversari più temuti a quell’epoca erano gli Stati Uniti, la Danimarca e l’Australia». E ricorda ancora bene la festa che la sua Olcio gli ha fatto, all’indomani della conquista dell’Oro olimpico. «La gara si è disputata il 9 di agosto, il giorno prima era stato il mio compleanno». E proprio per celebrare le sue 95 candeline, quest’anno, la comunità olcese ha organizzato una nuova grande festa, l’ennesimo tributo a questo grande campione.
«Non mi fa paura la vecchiaia, mi piace pensare alle cose belle», afferma accennando un sorriso. Da qualche anno ha rispolverato una vecchia passione: «Nel tempo libero intreccio gerletti, preparo dei cestini per i miei amici. È una tradizione di questo territorio, lo facevo fin da piccolo; ho imparato dagli anziani del paese come realizzare questi pezzi».
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