Anna Maria Girotti Cacciari.
Insegnante elementare per trentacinque anni, ora in pensione. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Finale Emilia (Mo).
Comodamente seduta, ad occhi chiusi, cerco di trovare il pensiero logico che mi permetta di far ordine nella testa. Ho una gran confusione, passato e presente si affollano alla mia mente come due spiritelli inafferrabili: si rincorrono, si abbracciano, ridono, piangono, si intrecciano quasi indistricabili. Li sgrido arrabbiatissima e cerco di non considerarli pensando all’altro spiritello ancor più inafferrabile: il futuro. Così si calmano e cerco di guardare il film dall’inizio, ma non è facile, perché conosco bene ogni istante, ogni fotogramma, ogni sfumatura, ogni luogo, ogni personaggio della storia, i punti più importanti e l’intreccio globale, che io recentemente ho chiamato ‘‘percorso obbligato’’.
Quanto dura questo spettacolo, un’eternità come una telenovela se prolungo un particolare, oppure un attimo se, come col telecomando, accelero la visione.
Da dove si può iniziare?
I film gialli cominciano dal fatto, quelli rosa dall’incontro, le biografie dalla nascita e il mio film da dove può cominciare? Dal divano?
Ci sono seduta sopra e cerco di ricordare non dove l’ho comperato che rammento perfettamente, ma quando e perché.
E’ un divano a due posti abbondanti, ricoperto in stoffa tipo ‘‘gobelin’’ a grandi fiori, ma molto serio, morbido tanto da sprofondarci, con cuscini estraibili, interamente sfoderabile e quindi pratico da lavare. Ora è mio, ma quando l’ho acquistato era di mio padre e di mia madre che erano venuti ad abitare nell’appartamento sotto al mio, al primo piano della casa.
Mia madre, già anziana, non fece nulla per mettere a posto e arredare l’appartamento, però era contraria a tutto quello che facevo io e niente le piaceva.
Il divano, scelto con cura per le misure, il rivestimento e per l’uso (doveva essere inserito in una stanza abbastanza piccola e servire ai miei genitori per il relax serale davanti alla tv) finì per essere il perno della discordia.
Per lei era decisamente brutto e scomodo, ma per mio padre, che non voleva farmi pesare le critiche della mamma, era favoloso e non solo ci si sedeva, ma anche ci si sdraiava e faceva il sonnellino pomeridiano. E quando lei cominciava a brontolare con foga e a dire che lui faceva da padrone e che occupava tutti gli spazi migliori, si metteva a sedere e con un sorriso furbo le diceva: “Ma tu non ci stai comoda qui!”, e poi con dolcezza: “Dai ti faccio un po’ di posto”.
E lei, a volte, ma non spesso, si sedeva accanto a lui sul divano.
Così per me, il divano, era diventato un segnale preciso del loro umore: se vi erano seduti tutti e due, avevano fatto pace e per un po’ tutto filava liscio, se vi era seduto o sdraiato solo lui, dovevo sorbirmi i rimbrotti di mia madre insistenti, cattivi a volte, vittimistici spesso. Se io capitavo in casa e vi era seduta solo lei, si alzava immediatamente in piedi e correva in cucina a fare qualcosa, per non darmi la soddisfazione di dire che il divano in fondo le faceva comodo.
Questo in sostanza era il clima di allora, diversi anni fa.
Ora cerco di ricordare i miei genitori come li ho visti davvero una sera, seduti vicini, tranquilli, sereni, silenziosi, con un vago sorriso sulle labbra. Li ho visti così, perché è così che avrei voluto avere i miei genitori o perché, nel loro nuovo mondo, ora sono così?
Io li ho visti materializzati sul divano, lui seduto eretto, composto, figura elegante, nel suo completo grigio con la cravatta bordeaux, lei col vestito di seta a fiorellini gialli su fondo blu, che pure le avevo comperato io, ma che stranamente le era piaciuto.
Come sono entrata hanno girato la testa verso di me e mi hanno riconosciuto, così io ho chiesto loro: “Ma quando siete tornati? Sono contenta, vi trovo bene!”.
E ho fatto per sedermi in mezzo a loro, in un piccolo spazio, ma mentre sembrava che si scostassero un po’ per farmi posto, si sono dissolti.
Io mi sono seduta e con le mani ho tastato a destra e a sinistra, per rendermi conto di cosa fosse successo, nulla, non c’era niente, solo un lievissimo odore di tabacco da pipa e una leggerissima fragranza di violetta, forse rimasti nella stoffa del divano anche se lavato e stralavato.
Ma perché li ho evocati?
Il divano!