Giovanni Signorino. Appassionato della scrittura ha partecipato a diversi concorsi nazionali ottenendo lusinghieri riconoscimenti: primo premio concorso pro loco di Rivoli (To) nel 2016 e secondo premio concorso Fondazione Donegani nel 2018 e 2022 per la poesia. Partecipa al Concorso 50&Più dal 2015 e nel 2022 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa. Vive a Novara.
Nella mia infanzia ho avuto la fortuna di abitare in centro di Novara, e da ragazzo bazzicavo spesso nei dintorni di casa mia, facendo capo all’oratorio della chiesa del Rosario che aveva l’ingresso in via Tornielli.
Ho un ricordo vivo della piazza, davanti alla chiesa del Rosario, che ora è dedicata a Gramsci: pavimentazione in blocchetti cubici di porfido che facevano cantare le gomme della bici, il grande negozio dal muro rosso dove ora c’è l’Agenzia 1 della Banca Popolare (“Paziani, qui c’è di tutto”, precursore del cinese Shun Fa), l’edicola dei giornali del signor Placido, mio fornitore abituale dell’ultima copia di Topolino (50 lire, passate sottobanco dalla mamma dopo tante insistenze strappacore)…
All’oratorio non c’era granché, incapsulato nelle case del centro: calciobalilla, pingpong e nient’altro: il parroco, don Carlo, aveva lì un buon terreno per assoldare (sì, ci pagava, specialmente in occasione dei funerali) i chierichetti; anch’io mi mettevo spesso in prima fila per raccogliere le 10 lire, messe da parte in previsione di insuccesso nella richiesta di finanziamento per comprare l’ultima copia di Topolino. La chiesa di san Luigi, nella vicina via Mossotti, faceva parte della parrocchia, e a volte i chierichetti andavano a servire messa e magari pendolare l’incenso (che bello!) nei funerali e nelle funzioni officiate in quella chiesa. La piccola sacrestia si trovava proprio sotto il campanile, a noi ragazzi era proibito entrare da soli: più di una volta qualcuno di noi si è lasciato tentare a tirare la corda della campana. Dietro l’altare, al centro del coro, la curiosità ci aveva fatto scoprire una porticina molto antica, sempre chiusa. Nessuno ha mai varcato quella porta, neanche il parroco. Una signora molto anziana, che noi avevamo soprannominato la “Befana”, aggiustandosi gli occhiali sul naso aquilino ci disse che quella è la porta del Paradiso e che soltanto chi ha la chiave può entrare… Don Carlo, interrogato in proposito, ci disse che la chiave non l’aveva mai avuta, e monsignor Vescovo gli aveva raccomandato di non interessarsi a quel passaggio!
E allora, se neanche i preti potevano entrare, dove portava effettivamente quel passaggio?
Dopo tanti anni, la mia curiosità non è assolutamente scemata.
Ora la chiesa di san Luigi è sconsacrata a causa della sua inagibilità: un giro di impalcatura la incapsula per evitare cadute accidentali sui passanti di via Mossotti, e la campana è stata rimossa prima che potesse cadere. Tutto ciò che si poteva portare via, in primis le reliquie del Santo, è stato trasferito nelle altre chiese cittadine e chi dovrebbe procedere ad un restauro sta ancora aspettando le autorizzazioni che da diversi anni tardano ad arrivare.
Sì, la chiesa va restaurata, perché pare che i primi documenti che testimoniano l’esistenza dell’edificio risalgono al 1202. Molto probabilmente, quello che si pensa essere il nucleo originario è invece un rifacimento di una costruzione ancora più antica, risalente all’epoca romana. Essa rappresenta un affascinante mix di stili di epoche diverse. La facciata, infatti, è tipicamente settecentesca, come pure lo stile interno, mentre il coro ha caratteristiche più antiche. Ho trovato anche qualcosa di misterioso nelle informazioni che ho raccolto: un’affascinante leggenda racconta che nelle cripte della chiesa di san Luigi sia custodita una fonte d’acqua, già utilizzata dai Celti per i loro riti religiosi!
Questo mi ha fatto rammentare la presenza di quella antica porta dietro l’altare maggiore…
Pieno di curiosità, parlando con l’economo della curia del quale sono buon amico, riuscii ad avere l’autorizzazione ad entrare nel cantiere, naturalmente a mio rischio e pericolo, e così un mattino, di buon’ora, spostando la rete di strisce arancioni tra i montanti della incastellatura entrai nella vecchia chiesa. Non c’erano più i banchi, tutto era spoglio e pieno di ragnatele; la luce del mattino illuminava a sufficienza l’ambiente divenuto ai miei occhi estremamente triste. Passato dietro l’altare, arrivai velocemente alla famosa portina, chiusa con un chiavistello bloccato da un lucchetto antico, uno di quelli con la serratura classica sul fianco: era talmente antico ed arrugginito che mi fu facile forzarlo con un cacciavite che avevo portato con me, insieme ad una grossa e potente torcia di tipo tattico (dicono così) acquistata su Amazon.
Bisognava ora scendere: una scala di legno, una scala a pioli della quale non era consigliabile fidarsi portava in basso, in una cripta. Non volevo rischiare: ero solo e una caduta nel buio della cripta poteva avere conseguenze pericolose. Rimandando tutto all’indomani, tornai a casa. Sapevo di avere in cantina una decina di metri di corda, rimanenza di una attrezzatura ormai caduta nel dimenticatoio, utilizzata tanti anni fa in montagna in un tentativo di entrare nel mondo della scalata sportiva subito rinunciato…. La montagna non faceva per me. Il giorno dopo tornai davanti alla portina ormai già aperta. Trovai a fianco un anello ben franco nella muratura del retroaltare e ci legai un capo della fune: girando poi la fune dietro intorno alla vita, iniziai ad appoggiare il piede sul primo piolo. Lo scricchiolio che sentii confermò la validità delle mie misure di prudenza, così fu anche per il secondo e il terzo piolo: il quarto cedette di colpo, senza scricchiolio di preavviso! Il piede sinistro, non più sostenuto, puntò sul muro e la corda intorno alla vita mi sostenne con uno strattone. Proseguii la discesa senza appoggiare i piedi sui pioli ma agendo come fanno i rocciatori nella discesa, puntando i piedi sul muro e lasciando scivolare intorno alla vita a mano a mano tratte di cavo.
Finalmente ero arrivato in fondo alla cripta, cinque metri sotto. Mi trovai in una piccola stanza, circa tre metri per tre: sentivo un gorgoglio, e, illuminando quella parte, vidi un pozzetto rivestito di mattoni da cui scaturiva un flusso d’acqua limpida e gelida…. Al di sopra dello zampillo d’acqua c’era una sorta di bassorilievo rotondo: al centro, all’interno di un cerchio concentrico si vedevano tre esse unite fra loro, che mi ricordavano lo stemma con le tre gambe della Sicilia, solo che qui non c’era al centro la testa. Le teste, anzi, le facce, erano tutte intorno: venti espressioni misteriose. Al di sopra del bassorilievo stava una scritta: “AD BELENI REGNUM”. Scrutando meglio da vicino, vidi che il bassorilievo sembrava distaccato dal muro, quasi che fosse tenuto da un perno al centro: forse si poteva ruotare, magari per regolare il flusso della fonte… posata la torcia in modo da illuminare il mio campo d’azione, facendo presa sulle faccine, tentai di ruotare il disco, che subito cedette. Una, due, tre faccine… iniziò a farsi sentire uno scroscio d’acqua, e…. la parete dietro di me iniziò a crollare! Un polverone mi avvolse, dovetti chiudere gli occhi. La polvere aveva uno strano profumo, un forte profumo di gelsomino, che iniziò a farmi starnutire più volte … sino a quando non sentii più nulla.
Mi svegliai, non so quanto tempo dopo. Non ero più nella cripta: ero disteso, bagnato fradicio, sull’erba di una radura al centro di un bosco. Sentii avvicinarsi una figura femminile, vestita di un lungo abito di tela grezza; curvandosi verso di me avvicinò il suo viso, un viso bellissimo contornato da una chioma corvina lunga oltre le spalle. Pensai: – Ecco, sono morto e questo è il primo passo verso gli inferi… ma…
– Chi sei? – chiesi temendo una risposta inquietante.
– Sono io, sono te. – mi rispose con voce dolce.
– Non capisco, che vuoi dire?
– Sono la tua vita precedente, tu sei venuto dopo di me… sono qui con te perché hai rotto l’incantesimo del gran sacerdote druido che sigillava attraverso la fonte i mondi dei morti da quello dei vivi. Noi non moriamo mai, ma ci reincarniamo, non si sa quando. Ma succede. Sempre.
– Ma tu sei una donna! – esclamai con preoccupazione.
– Lo spirito non ha sesso: ho voluto farmi vedere così. Ma tu stai vedendo lo spirito che hai in te, che aveva il corpo che vedi. Se lo chiediamo, anche noi possiamo vedere dove il nostro spirito andrà, e avere con il nuovo corpo un contatto: di solito un sogno, un’apparizione, un lampo… So che tu mi hai fatto un ritratto, tanti anni fa. Lo hai fatto senza vedere alcun modello, ti è venuto fuori, tu dicevi, da una visione, da un sogno… Infatti, in un sogno venni a dirti che ci saremmo rivisti: noi possiamo vedere il futuro, ma non sappiamo quando sarà, mentre tu l’indomani (ride) sei andato a cercare il mio viso fra le tombe al cimitero … Vero?
– Ma allora era vero quello che mi disse tempo fa un mio amico che si dilettava di cabala e oroscopi! Mi disse che il mio spirito era la reincarnazione di una donna del 700 d.C., una bella donna che faceva l’attrice nel territorio della Dalmazia… Ma, a quei tempi, le attrici erano anche donne di facili costumi, vero? Bello, …. sono la reincarnazione di una puttana!
– Quello che facciamo con il corpo non ha importanza, la legge dello spirito è un’altra, è al di sopra di tutto e di tutti! – mi rispose un po’ indispettita.
– Scusami, non volevo offenderti (o offendermi?) – dissi alzandomi davanti a lei.
La sovrastavo di molto, non era più alta di un metro e mezzo. La guardavo rapito, era veramente bella ed io mi sentivo innamorato di lei. Si, ero innamorato di lei e di me stesso, pazzesco!
Sentivo attorno a me l’acqua che saliva, mi resi conto che ero in pericolo, prigioniero della cripta invasa dall’acqua della leggendaria fonte celtica. La luce, là in alto, mi dava la strada per risalire. La fune, ancora intorno al mio cinto, mi dava lo strumento per uscire. Il livello dell’acqua non era più aumentato rapidamente come prima, ma non era il caso di rimanere lì. Ero ancora intontito da quel profumo forte di gelsomino, ma abbastanza lucido per issarmi e uscire dalla portina dietro l’abside.
Andai a casa a togliermi i vestiti ancora zuppi d’acqua e a farmi una doccia ristoratrice.
L’indomani tornai alla portina e guardai sotto illuminando con una torcia (quella di ieri era ancora là, spenta e forse inutilizzabile). Non c’era più acqua, nella cripta, ma si sentiva il gorgoglio della fonte. Mi ero portato un nuovo lucchetto, richiusi tutto. Non so se credere a quello che mi era successo o passarlo come un sogno… Però è stato bello.