Giornalista, autore televisivo e dirigente. Ha precorso i tempi con format originali. Attualmente in Rai con “Il Mix delle 23”
Mixer, La Grande Storia, La Storia siamo noi – che ha vinto ben tre premi -, Citizen Report, Elisir, Quelli della notte, Un Posto al Sole. Questi sono solo alcuni dei programmi prodotti e, in alcuni casi, condotti da Giovanni Minoli, giornalista e dirigente televisivo. Ideatore di trasmissioni che hanno fatto la storia della televisione italiana, ha proposto format originali che hanno cambiato l’approccio della Tv e degli spettatori a tematiche come l’attualità, la politica, la cultura. Anche autore di libri, nel 2018 ha preso parte ad un gruppo di lavoro presso il Consiglio Superiore della Magistratura per definire le linee guida della comunicazione degli uffici giudiziari. Una personalità eclettica dalle mille idee. Attualmente è in onda su Rai Radio 1 con Il Mix delle 23: ogni puntata è dedicata ad un avvenimento, a un personaggio del passato di cui ripercorre la storia con uno sguardo attento all’attualità.
Parliamo dei suoi programmi Tv. Qual è il suo preferito?
Non ne ho di preferiti, li amo tutti come se fossero miei figli.
Da Mixer a La Grande Storia. Qual è la chiave per comunicare in modo efficace le tematiche importanti che ha portato in Tv?
Raccontare le cose in modo preciso e semplice. Per farlo bisogna avere le idee chiare e aver studiato a fondo l’argomento. Così si fa giornalismo degli interrogativi e non delle risposte, e si offrono al pubblico strumenti di riflessione e non ideologie preconfezionate che orientano il racconto. Ma io ho fatto il conduttore per hobby, sono stato un dirigente televisivo. Ho prodotto tanti programmi: Quelli della notte, Report, anche Un posto al sole, che ha creato 7.000 posti di lavoro e oggi è la più grande industria di Napoli.
A proposito di Un posto al sole – che ad ottobre compie 27 anni -, come è nata l’idea?
In modo semplicissimo. Erano gli anni Novanta e immaginavo che le ‘killer application’ della Rai, tipo i film e le partite di calcio, sarebbero passate alla Pay Tv e stavo studiando forme di fiction seriale che potevano sostituirle. Un giorno mi chiama Elvira Sellerio, che all’epoca era diventata consigliere d’amministrazione Rai, e mi dice: «Guarda Giovanni, tu che hai sempre tante idee, qui vogliono vendere il centro di produzione di Napoli e io sono l’unico consigliere del Sud, devo salvarlo. Portami un’idea». Io ce l’avevo e insieme abbiamo fatto nascere Un Posto al Sole. Oggi non lo seguo, ma speravo che avesse questo successo. Ha fatto ricchi tutti i produttori esecutivi che si sono succeduti nella gestione del prodotto.
Si sente parte dell’innovazione culturale e comunicativa italiana?
Mi sento uno che ha fatto il suo lavoro su tutti i fronti con molta passione.
Attualmente è in onda su Rai Radio 1 con Il Mix delle 23. È ispirato a qualche suo programma passato?
È ispirato a Mixer e a La storia siamo noi. La storia ha successo, funziona sempre di più. Anche l’attualità. Mi sembra di seguire una domanda del pubblico che è sempre più forte.
Ha scritto un libro con Piero Corsini, La storia sono loro. Ma quindi chi è la storia? Noi o loro?
La storia sono loro che siamo noi.
Quindi siamo protagonisti della storia ma anche spettatori?
Assolutamente sì.
Si è ispirato a qualche modello nella sua carriera professionale?
Nessun modello, ma ho avuto tanti punti di riferimento come Dan Rather in America, Sergio Zavoli e Brando Giordani.
Com’è stato confrontarsi con tante personalità?
Interessante e ogni volta stimolante. Ho incontrato persone di ogni tipo, dal Dalai Lama ad Arafat, da Bob Kennedy ad Armand Hammer – l’uomo che portava avanti i rapporti tra Lenin e l’America -, anche grandi manager come Giovanni Agnelli, Marco Tronchetti Provera, Cesare Romiti, Carlo De Benedetti. E ancora, Marguerite Yourcenar, Gabriel García Márquez. Ognuno ha arricchito profondamente la mia umanità e la mia consapevolezza. Che non sappiamo mai niente e dobbiamo sempre imparare. Ho cercato di far diventare questi insegnamenti un patrimonio comune.
Qual è la critica più costruttiva che ha ricevuto?
Ne ho ricevute talmente tante che non me le ricordo. La verità è che nella vita non si perde mai, o si vince o si impara.
Oggi guarda la Tv?
Sì, guardo soprattutto i canali tematici perché voglio vedere le novità.
Ci sono format internazionali che importerebbe?
No perché li ritengo tutti format d’intrattenimento preserale uguali, un po’ banali. Credo che il più interessante sia 60 Minutes.
Lei si è laureato in Giurisprudenza. Se non avesse fatto il giornalista, avrebbe continuato nel campo del diritto o avrebbe fatto altro?
Avrei fatto il calciatore, perché ne ho avuto l’opportunità, oppure lo scrittore. Non ho proseguito nel campo del diritto perché mio padre è stato uno dei più grandi giuristi del Novecento e a 50 anni non volevo essere il degno figlio del professor Minoli. Volevo diventare me stesso. Avevo una grande ambizione per la televisione, la sentivo un mezzo generazionale. Non venire né dal campo del giornalismo né dalla Tv mi è servito per avere una maggiore creatività. Il pensiero laterale ha potuto fecondare meglio quello principale perché non era bloccato da regole già stabilite. Basti guardare i faccia a faccia di Mixer: all’epoca erano una follia televisiva. Ora sono un marchio di fabbrica.
Può imparare qualcosa dai giovani d’oggi?
Non so chi siano i giovani d’oggi, ognuno è diverso. A livello generazionale sono sicuramente più tecnologici e immediati nella comunicazione.
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