Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane, è la prima donna dopo sessant’anni, a ricoprire questa carica.
Essere la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) è un segnale tangibile di cambiamento e di forte discontinuità con un mondo ancora prevalentemente maschile. Un ruolo nuovo per una donna, ricoperto con determinazione da Giovanna Iannantuoni, figura di spicco nel panorama accademico italiano ed europeo, il cui impegno e le cui competenze hanno trasceso i confini di genere.
Come ci si sente ad essere la prima donna presidente della CRUI?
La mia nomina è stata molto significativa. Avevo deciso di candidarmi perché volevo portare una visione di cambiamento e innovazione rispetto al passato. I miei colleghi hanno premiato questa visione. Le competenze e le idee prescindono dal genere, ma essere la prima donna in un mondo ancora molto maschile è un segnale di forte discontinuità.
Un incarico prestigioso che si aggiunge ad un curriculum di alto profilo e ricco di esperienze. Quali azioni pensa di intraprendere durante il suo mandato?
Innanzitutto ritengo necessario rendere il sistema universitario leader culturale e scientifico del Paese. In questi anni si sono persi questa capacità e il riconoscimento di ruolo. Lo possiamo fare innovando la didattica, lavorando col sistema privato per avere impatto tecnologico, facendo conoscere quello che accade negli atenei ai cittadini.
Qual è stato il suo percorso per arrivare alla docenza universitaria e poi al rettorato?
Mi sono laureata in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi e ho conseguito un dottorato in Economics all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. Ho insegnato e svolto ricerca per diversi anni all’estero, nelle Università di Rochester, di Cambridge e della Carlos III di Madrid. I miei interessi si sono focalizzati su teoria dei giochi, decisioni di political economy e microeconomia. Dal 2006 sono entrata all’Università di Milano-Bicocca come professoressa associata e dal 2014 come ordinaria di Economia politica. Sono diventata coordinatrice del dottorato di Economia e, dal 2015 al 2019, sono stata presidente della Scuola di Dottorato dell’Ateneo. Questa esperienza è stata per me un’occasione unica per conoscere da vicino i dipartimenti dell’Ateneo. La decisione di candidarmi come rettrice è maturata su una profonda riflessione personale e sul dialogo con numerosi colleghi che mi ha portato a stilare il mio programma, volto alla crescita dell’Università.
Durante il suo percorso professionale quali difficoltà ha trovato per il fatto di essere una donna?
Tante. Ne dico una piccola per fare un esempio. Io e mio marito abbiamo fatto un pezzo di carriera internazionale insieme. Eravamo sempre allo stesso livello. Ma in qualsiasi contesto, anche formale, lui era “professor”, io ero Giovanna.
Oggi in Italia è crescente l’attenzione del dibattito pubblico e politico per la parità di genere: secondo lei siamo a buon punto? Ed eventualmente cosa si può fare ancora per migliorare la situazione?
Noi donne ci siamo, dappertutto, con professionalità uguali a quelle degli uomini. Nonostante questo c’è ancora una grande resistenza. In alcuni casi, infatti, si fa fatica ad alzare la mano e a dire: “io posso fare questo”, “io voglio essere leader”. E anche quando lo fai, non sempre trovi un contesto favorevole, devi essere ancora più motivata, molto più forte di un collega maschio. Il grande cambiamento deve essere prima di tutto culturale. È già in corso, ma ora serve un’accelerazione.
Lei ha lavorato in Europa e negli USA, ha quindi un punto di osservazione molto ampio. Come definirebbe lo stato di salute delle università italiane?
Di alto livello, anche se ci sono alcuni nodi con cui fare i conti: i problemi di housing e di carenza di borse di studio, per esempio. L’attenzione a questi due problemi non è mai stata così alta e si stanno proponendo alcune soluzioni, penso all’accordo per i beni demaniali e all’alleanza fra istituzioni, privati e università per ricavare nuove residenze. Altro nodo è “l’inverno demografico”. Il calo delle nascite si è già visto nelle scuole e sta raggiungendo anche le università. Bisogna lavorare sulle seconde generazioni, insistere sull’orientamento fin dalle scuole medie. E, in generale, raccontare meglio il legame tra titolo di studio e salario.
Cosa consiglierebbe ad una donna che si trova al bivio e deve scegliere di dedicarsi alla famiglia o al lavoro?
Che si possono coniugare, non dobbiamo essere costrette a scegliere, facendoci imporre i tempi che finora sono stati dettati dagli uomini e invece dovrebbero essere dettati da tutti. In Italia lavora solo una donna su due: quanta ricchezza non viene creata per questo motivo. È arrivato il momento di cambiare.
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