“La gioventù: una generazione in(de)finita”: è il titolo emblematico della ricerca realizzata da Demos&Pi e Fondazione Unipolis. In Italia e in Europa la definizione di giovinezza si è allargata agli “-anta”, spingendo sempre più in là la soglia della vecchiaia.
I giovani? Una classe ambita e – allo stesso tempo – una specie in via di estinzione. Lo rileva il XIV Rapporto dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza, realizzato da Demos&Pi e Fondazione Unipolis, “La gioventù: una generazione in(de)finita”. L’indagine è stata condotta su un campione di cittadini di tutte le età di cinque Paesi europei: Italia, Francia, Germania, Polonia, Regno Unito. Risultato: tutti amano definirsi giovani anche dopo gli “-anta”, ma così i giovani all’anagrafe stanno perdendo la propria identità.
Giovani e non, generazioni dai confini troppo sfumati
Che cosa lasciano (e cosa tolgono) le generazioni adulte agli attuali ventenni, e a chi arriverà dopo di loro? Come concepiscono il proprio futuro i ventenni, rispetto al “futuro del passato”: quello che avevano di fronte, alla stessa età, i loro padri e i loro nonni?
Sono alcune delle domande a cui prova a rispondere il Rapporto Demos-Unipolis. Questo mettendo a confronto le prospettive, gli orientamenti, la visione del mondo della popolazione generale rispetto a quella dei giovani europei under 30 e dei giovanissimi di età compresa fra i 18 e i 21 anni.
Quello che emerge è un quadro di profondi cambiamenti. Primo fra tutti, il confine stesso della generazione. “La stessa definizione di gioventù – si legge nel report -, allargandosi ben oltre i venti e i trent’anni, spinge sempre più in là la soglia della vecchiaia. Nel Vecchio Continente si è giovani fino a 40 anni. In Italia, addirittura fino a 51. Ciò toglie specificità all’essere, anagraficamente, giovani. Nel momento in cui tutti (o quasi) si sentono giovani… e cercano di apparire tali: nello stile di vita, nei comportamenti di consumo, nella cura di sé e nelle relazioni con gli altri”.
I confini sempre più sfumati delle generazioni si riflettono dunque sulle opinioni: gli under 30 condividono le stesse paure e le stesse battaglie delle generazioni precedenti. Dall’insicurezza per la globalizzazione alla lotta per l’ambiente. Ma la deprivazione dello “status” di giovane porta con sé il rischio di sentirsi privati di benessere, risorse, qualità della vita, diritti, opportunità, prospettive di miglioramento. “In una parola: futuro”. “Questo Osservatorio sulla Sicurezza, infatti, fa emergere molti segni di In-Sicurezza”, spiega Ilvo Diamanti, direttore scientifico dell’Osservatorio. “In tutti i Paesi. Ma, soprattutto, in Italia. Dove, più che altrove, le età della vita – e la gioventù, in particolare – appaiono difficili da “de-finire”. De-limitare. E ciò proietta l’immagine di una gioventù in-finita, senza limiti. Mentre la vecchiaia avanza. E noi fatichiamo ad accettarla. Così, de-limitiamo il futuro. Dei giovani. E di tutti noi. Con il rischio di perdere di vista l’orizzonte. E dimenticare il passato”.
La giovinezza in via di estinzione
Giovani? Fino a 40 anni. È questo il limite che segna il passaggio generazionale secondo la media degli intervistati. Ma non in Italia, dove, come abbiamo anticipato, la gioventù si allunga addirittura in media fino ai 51 anni. Se a rispondere è un over 65, la soglia raggiunge i 58 anni.
Emerge dunque una stretta correlazione fra l’età anagrafica dell’intervistato e la soglia indicata. Un fatto analogo si verifica, all’opposto, quando si tratta di indicare a che età si diventa anziani. In Europa la vecchiaia inizia mediamente a 68 anni, in Italia a 74. Se tra gli over 65 il dato medio sale a 74 anni, tra gli under 30 si ferma a 59.
Una classe dalle opinioni in(de)finite
Giovani e giovanissimi sono mediamente soddisfatti a metà della qualità dei servizi pubblici (52%) e della scuola (51%); del sistema dell’informazione (47%), con punte del 58% quando si tratta di valutare la libertà di espressione; della qualità della democrazia nel proprio Paese (49%); delle opportunità di partecipazione politica dei cittadini (44%). Opinioni che non si distaccano da quelle della popolazione in generale.
Quasi una persona su due ritiene che i figli avranno una posizione peggiore di genitori e nonni
Quasi una persona su due, in Europa, e quasi due su tre, in Italia, ritengono che i giovani di oggi avranno, in futuro, una posizione sociale ed economica peggiore rispetto a quella dei loro genitori (49%). Il Rapporto ha utilizzato un indice specifico, costruito come semplice differenza tra valutazioni ottimiste e pessimiste, per individuare cosa succede a livello di singoli Paesi o singole dimensioni del vivere civile. Se la media dell’indice è -31, si passa dal -9 della Germania al -60 dell’Italia.
Dimensione per dimensione della vita sociale, tra i più giovani tendono a prevalere posizione ottimistiche rispetto ai più anziani sulla qualità dell’ambiente (-44 fra tutti, -35 fra gli under 30); la sicurezza nazionale (-28 in generale, +4 fra gli under 30); le disponibilità economiche (-26 in generale, -16 fra gli under 30); le opportunità di lavoro (-14 tutti, +1 under 30); le relazioni sociali (-10 tutti, +4 under 30); l’accesso ai servizi sanitari (-5, +16 under 30). Positive in tutte le fasce d’età invece le valutazioni su salute e benessere (da +2 generale a +12 fra gli under 30), libertà di espressione (da +6 a +19) e, soprattutto, ruolo delle donne (+38 nella popolazione generale e +45 fra gli under 30).
Per i giovani europei la sanità prima di tutto. Per gli italiani il lavoro
Probabilmente per l’influsso della pandemia, sia i giovani che la popolazione in generale mettono la spesa sanitaria in cima alle priorità in Europa. Il 22% degli intervistati in Europa e il 18% in Italia vorrebbe destinare la maggior parte delle risorse al potenziamento dei servizi sanitari. Seguono le voci relative a istruzione (15%); pensione e previdenza (14%); ammortizzatori sociali, povertà, disagio (14%); politiche per il lavoro (13%) e per l’ambiente (10%). Chiudono la classifica europea le politiche per la famiglia (6%) e per la disabilità (4%). In tutti i casi, però, il dato dei giovani under 30 non si discosta in modo significativo dalla media generale.
In Italia, invece, è il lavoro a svettare su tutti gli altri temi (26%), seguito dalla sanità (18%) e, quindi, dalla scuola (16%). Lavoro (27%) e scuola (17%) sono anche le questioni sulle quali tendono a concentrare maggiormente le proprie preferenze i giovani italiani. Ancora, se il 10% degli italiani destinerebbe la spesa pubblica anzitutto alle politiche ambientali, il dato sale al 13% tra gli under 30 e al 17% tra i giovanissimi.
La scuola: per un italiano su quattro non è collegata al mondo del lavoro
Anche se la scuola non viene considerata un tema che suscita particolari criticità, dall’indagine emergono diversi profili problematici. Il primo per gli italiani è lo scarso collegamento con il mondo del lavoro (26%), mentre i britannici (36%) e i tedeschi (24%) sottolineano la mancanza di risorse. I francesi segnalano anche la violenza giovanile negli istituti scolastici.
Il lavoro: i giovani si vedono all’estero, preoccupati dal lavoro, con pensioni più basse
Più di un giovane europeo su due – il 57% dei giovanissimi – pensa che, per fare carriera, l’unica opportunità sia andare all’estero. Il dato sale al 59% tra gli italiani.
Otto giovani su dieci poi prevedono di avere, un domani, una pensione più bassa rispetto a quelle di oggi (72%) oppure di non ricevere alcuna pensione (10%). Tuttavia, sia per la poca esperienza che per la formazione prettamente digitale, i giovani ritengono di avere una più robusta preparazione per confrontarsi con il mondo lavorativo attuale. Anche se i meno preoccupati rispetto alle sfide del lavoro sono gli over 65, coloro che stanno per uscire o sono già fuori dal mercato del lavoro.
A preoccupare di più, in generale, gli italiani è però la precarietà del lavoro (37%). “Più che il contratto flessibile in sé – si legge nel Rapporto -, quello che preoccupa gli italiani sono le conseguenze della perdita del lavoro, che avviene in una cornice meno dinamica, quindi con meno opportunità di trovare una successiva collocazione. I giovani europei mostrano tuttavia un minore timore per la flessibilità del lavoro rispetto alle generazioni più anziane (che paiono quindi preoccupate in primo luogo per i figli e nipoti)”. In media, tra i giovani dei cinque Paesi, il 21% vorrebbe venisse ridotto il numero dei contratti flessibili, mentre il dato della popolazione è pari al 29%. Mentre quasi uno su quattro (24% contro 21% della popolazione nel suo complesso) guarda alla libertà e alla flessibilità dei contratti come ipotesi più adeguata.
Guardando alla ricerca di lavoro, gli italiani sono quelli che, più dei concittadini europei, ritengono che per la carriere dei giovani di oggi l’unica speranza sia andare all’estero. Sono di questo avviso il 77% degli italiani. Il dato medio dei 5 Paesi è pari al 45%. Tuttavia, sembrano essere gli adulti a mostrarsi più ansiosi su questo fronte: 77%, con una differenza di 18 punti percentuali rispetto al dato raccolto tra i giovani, che si ferma al 59%. Avviene così esattamente l’inverso di quanto si registra negli altri Paesi.
L’Italia è sui generis anche sul fronte delle pensioni. Il 27% dei nostri connazionali intervistati afferma che chi oggi ha 20 anni “non riceverà nessuna pensione”. Il dato si ferma al 15% nella media europea. Fra i giovani è al 18% in Italia.
Ancora, il 64% dei giovani italiani, contro una media europea del 54%, pensa che una pensione integrativa sia “utile, per integrare la pensione pubblica, che un domani potrebbe essere più bassa o non esserci del tutto”. Tra i giovanissimi (18-21 anni), il 66% ritiene “utile” tale scelta per garantirsi una sicurezza alla fine del percorso lavorativo.
L’insicurezza: in Italia è la globalizzazione, in Europa l’economia
Fra i temi analizzati dal report, anche il tema dell’insicurezza, che porta in primo piano in Europa i problemi di ordine economico. Per il 40% degli intervistati le questioni economiche dovrebbero essere in cima alle agende di governo. Invece, per il 75% degli italiani prevalgono le paure legate alla globalizzazione. Un valore che cresce di 5 punti percentuali rispetto alla precedente edizione del rapporto, mentre resta sostanzialmente stabile l’indice di insicurezza economica: dal 53 al 51%. Tra il 2012 e il 2014, nel momento di massima apprensione per le conseguenze della crisi economico-finanziaria, superava il 70%, fino a lambire l’80% alla fine del 2012. Su livelli costantemente inferiori si colloca infine l’insicurezza legata alla criminalità. Dal picco nel 2012 (50%), oggi si attesta al 32%.
L’ ambiente: il 66% degli italiani pensa che debba avere priorità sulla crescita economica
Otto persone su dieci affermano di sentirsi molto o abbastanza preoccupate del riscaldamento globale (79%). In Italia si arriva all’87%. Ancora, il 61% degli intervistati ritiene che l’ambiente dovrebbe avere la priorità, anche a costo di frenare la crescita economica. Percentuale che arriva al 66% nel nostro Paese.
Cosa fanno i cittadini europei nella vita quotidiana per contribuire a tutelare l’ambiente? L’83% dichiara di impegnarsi per ridurre il consumo energetico, l’81% per non sprecare cibo. All’acquisto di prodotti e marchi che rispettino l’ambiente si dice attento il 57% degli intervistati. Si scende al 40% della popolazione coinvolta quando si prende in esame la disponibilità a contenere l’utilizzo di mezzi di trasporto privato. E al 35% per una riduzione del consumo di carne. I giovani, che mostrano in generale livelli di impegno inferiori, sono più attivi rispetto agli anziani proprio quando si tratta di ridurre l’uso del mezzo privato o mangiare meno carne.
La fiducia nelle istituzioni e nella democrazia
Gli italiani in generale hanno poca fiducia nelle istituzioni. Rispetto all’Europa, dove mostra fiducia circa una persona su due, il dato cala di 8-9 punti percentuali quando si parla di Stato e UE, addirittura di 14 punti verso Onu e Parlamento. Tuttavia i giovani italiani mostrano un consenso più ampio, soprattutto nei confronti delle istituzioni a carattere internazionale come Onu (+21 punti percentuali rispetto al campione) e UE (+17).
A colpire è però la “stanchezza” dei giovani e giovanissimi rispetto alla democrazia basata sulla rappresentanza e la mediazione (-8 punti percentuali rispetto alla media del 75% e -15 nei giovanissimi) e l’apertura verso formule alternative al principio della rappresentanza. I giovani sembrano guardare a modelli centrati su un leader forte o sulla competenza tecnocratica, fino a subire il “fascino” del regime militare (+12%). I più “aperti” al governo autoritario sono i giovani tedeschi (+21 punti rispetto alla media del Paese). I meno sensibili appaiono invece quelli italiani (+2 punti).
Il contrasto alle fake news
Poco più della metà dei cittadini (54%) dei cinque Paesi europei coinvolti nell’indagine ritiene, infine, che i governi dovrebbe intervenire per limitare le informazioni false online, anche se ciò impedisce alle persone di pubblicare liberamente o accedere alle informazioni. Il 56% pensa che ad intervenire dovrebbero essere le aziende tecnologiche. Prospettive condivise dai giovani, anche se questi ultimi tendono ad essere meno aperti a formule di controllo delle libertà di espressione.
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