Il 28 febbraio è la Giornata mondiale delle malattie rare, quelle che per definizione colpiscono meno di 5 persone su diecimila.
Se ultimamente è cresciuta l’attenzione su questo tema, resta comunque tanto da fare, soprattutto in termini di tempi – lunghissimi – di diagnosi, dato che per identificare una patologia non comune sono attualmente necessari, in media, ben cinque anni.
Si parla di circa 10 mila patologie, delle quali almeno l’85% sono ultra-rare. Ossia con una frequenza inferiore a una persona su un milione, il che le rende ancora più difficili da identificare e dunque trattare. In Italia ne sono affetti circa due milioni di pazienti in totale, in Europa 30 milioni.
La genetica nelle malattie rare
Di gran parte delle malattie rare circa l’80%, ha una base genetica e il punto di partenza per formulare una diagnosi è sempre l’esecuzione di esami strumentali di laboratorio e di genetica. Definire i sintomi è una strada molto complicata anche se alcuni sono più comuni di altri, ma possono riguardare anche patologie più frequenti e con una casistica più numerosa: disabilità intellettive, encefalopatie, note dismorfiche, epilessia, difetti congeniti.
Arrivare a una diagnosi
Oggi il primo livello di indagine genetica è quello in cui si sottopone il paziente a una serie di geni noti associati a malattie rare, che sono circa un centinaio, mentre il secondo prevede l’analisi dell’esoma, cioè la porzione codificante le proteine del genoma, che permette di ricercare le variazioni dei circa 8 mila geni malattia oggi conosciuti, o di variazioni genetiche non identificate in altri geni.
C’è poi il livello di studio più avanzato che prevede di analizzare tutto il genoma, con le porzioni codificanti e non codificanti. In assenza di una base genetica identificabile, la diagnosi si basa sulla consulenza di diversi esperti. Arrivare all’identificazione della malattia è fondamentale, anche se non significa necessariamente avere poi una cura, dato che solo il 4-6% delle malattie rare oggi conosciute prevede specifiche terapie. Ma è il primo passo per i progressi scientifici e nuovi approcci che possano un domani cambiare la vita delle persone.
I numeri del Registro Nazionale
Secondo i dati del Registro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto superiore di sanità, in Italia si stimano ogni anno circa 19 mila nuovi casi di malattie rare, spesso con un andamento cronico-invalidante e un conseguente carico individuale e familiare, dove spesso si rende necessaria una presa in carico neuropsichiatrica e riabilitativa di lungo periodo. Per questo sensibilizzare e promuovere l’equità nell’assistenza socio-sanitaria e nell’accesso a diagnosi e terapie è fondamentale.
Il Piano Nazionale Malattie Rare
Lo scorso 21 febbraio è stato approvato il testo finale del Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2025, al termine della riunione del Comitato Nazionale Malattie Rare, costituito presso il Ministero della Salute. Il prossimo passaggio dell’iter di approvazione sarà in Conferenza Stato-Regioni, per poi individuare e stanziare le risorse economiche che dovranno incidere su diagnosi, trattamento e formazione sul tema.
“Il precedente Piano era scaduto nel 2016″ ha commentato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie rare OMaR. “Il suo aggiornamento era dunque un atto molto atteso, e l’auspicio è che ora, grazie all’attenzione del nuovo esecutivo verso il mondo delle malattie rare, l’attuazione del piano proceda spedita e sia accompagnata da risorse economiche adeguate, perché non dobbiamo dimenticare che le persone con malattia rara non sono pazienti di serie B.”
Il progetto europeo Rare Disease Moonshot
Accelerare la scoperta e lo sviluppo di nuove cure per i malati rari è l’obiettivo dell’iniziativa Rare Disease Moonshot, voluto da sette diverse organizzazioni europee che hanno deciso di lavorare insieme per mettere in comune le competenze, ridurre la frammentazione della ricerca scientifica e condividere studi clinici e percorsi normativi.
Rare Disease Moonshot rappresenta una risposta all’invito mosso dalla Commissione Europea ad affrontare i tanti bisogni medici ancora insoddisfatti, e si basa sull’idea che il divario scientifico nel campo delle malattie rare non possa essere affrontato dai singoli soggetti, ma debba essere supportato da una rete ben coordinata, che sappia elaborare soluzioni e sappia fare pressione sulla politica internazionale affinché si affronti il tema dello sviluppo dei cosiddetti “farmaci orfani”, quelli che mancano perché non ci sono i “numeri”.
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