Sotto diagnosticato e in costante aumento, il diabete mellito rappresenta una priorità per tutti i sistemi sanitari del globo. Eppure, sarebbe una malattia evitabile con un corretto stile di vita. Oggi la giornata mondiale del diabete per sensibilizzare al tema e alla prevenzione.
Una contabilità allarmante. Oltre 530 milioni di adulti nel mondo convivono con il diabete mellito. Secondo le stime dei diabetologi il numero è destinato ad aumentare nel 2030 a 640 milioni. In Europa la malattia coinvolge circa 64 milioni di adulti, dei quali tre milioni e mezzo censiti nel nostro Paese. Tuttavia, sarebbero molti di più. Si ritiene, infatti, che un milione di italiani, pur essendone affetti, non sappiano di avere il diabete. Sarebbe pertanto necessario incrementare e migliorare la conoscenza e la consapevolezza delle persone sulla malattia diabetica e sulla sua prevenzione. In proposito abbiamo rivolto alcune domande a Massimo Spattini – direttore e docente del Master di primo livello in dietologia, Nutraceutica e Nutrigenomica Medicina Funzionale e Life Style all’Università capitolina Unicamillus – che sull’argomento ha appena pubblicato per Edra Edizioni il volume: “Guida al controllo glicemico”.
Quali sono i criteri, professor Spattini, per individuare i potenziali “candidati” al diabete mellito o di tipo 2?
Il primo criterio è la valutazione della glicemia a digiuno. Quando la glicemia è superiore a 100 mg/dL possiamo già considerare la persona a rischio anche se non rientriamo ancora nell’àmbito patologico. Altrettanto importante è la valutazione dell’emoglobina glicata e della glicemia postprandiale. Anche una situazione di sovrappeso, soprattutto di tipo androide con un eccesso di grasso viscerale, favorisce l’instaurarsi di una condizione di insulino-resistenza che è prodroma del diabete di tipo 2.
Come si fa a contenere il consumo di zuccheri spesso nascosti in tanti alimenti?
Bisogna imparare a leggere le etichette, eliminare le soft drink e stare attenti anche ai succhi di frutta perché sono un concentrato di zuccheri immediatamente disponibili.
È consigliato l’uso di dolcificanti?
No perché l’impiego di dolcificanti artificiali acalorici determina una modificazione del microbiota intestinale che, in soggetti sensibili, può portare a effetti metabolici sfavorevoli. Inoltre, alcuni studi ipotizzano che la percezione sensoriale del gusto dolce possa indurre una secrezione insulinica.
Qual è il modello nutrizionale ideale per la prevenzione della malattia che l’Oms ha definito “la pandemia silente del terzo millennio”?
Lo studio PREDIMED avrebbe dimostrato che la dieta mediterranea addizionata con olio extravergine di oliva o noci è superiore a una dieta povera di grassi nel diminuire il rischio di incidenza di diabete di tipo 2 e di malattie cardiovascolari.
Apriamo un altro capitolo: diabete e sedentarietà. Qual è l’attività fisica raccomandata?
Uno studio condotto su 110mila uomini e donne con ridotta tolleranza glucidica ha dimostrato che la prescrizione di un programma di esercizio fisico riduce del 46% il rischio di insorgenza di diabete. Recenti evidenze hanno suggerito che una combinazione di allenamento aerobico e contro resistenza (pesi) sia più vantaggiosa rispetto a entrambi i tipi di allenamento effettuati singolarmente.
Infine, professor Spattini, l’Assemblea generale delle Nazione Unite riconosce il diabete come “una malattia cronica, invalidante e costosa che comporta gravi complicanze”. Che cosa si può ancora fare in termini di sensibilizzazione della comunità su questo male la cui diffusione è associata all’incremento di sovrappeso ed obesità?
Bisogna inserire la scienza dell’alimentazione come materia già nella scuola d’obbligo e aumentare le ore dedicate all’educazione fisica possibilmente coinvolgendo anche i genitori in incontri mirati. Solo intervenendo sulla cultura dei corretti stili di vita potremmo invertire questo trend che si preannuncia disastroso. Se aspettiamo che un segnale positivo venga dalla Medicina dovrebbe essere ormai chiaro che i medici ormai si limitano a prescrivere le medicine alle persone già malate. Risulta indispensabile sensibilizzare tutti gli operatori sanitari, specialmente i medici di medicina generale, che rappresentano il primo punto di contatto in grado di riscontrare in un paziente il potenziale insorgere della malattia.
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