Armando Giorgi.
E’ nato a Genova, dove vive. Ha lavorato come macchinista alle Ferrovie dello Stato, ora è in pensione. Ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali di poesia e narrativa e ha pubblicato 34 volumi tra romanzi e poesie. E’ Cavaliere della Repubblica. Al Concorso 50&Più nel 2007 ha vinto la Farfalla d’oro per la poesia, nel 2008 e 2013 la Libellula d’oro per la poesia, nel 2009, 2011 e 2015 la Segnalazione della giuria sempre per la poesia e nel 2013 la Menzione speciale della giuria per la prosa.
Il mio piccolo terreno è situato nelle alture di Genova. Trovo tutti e quattro i punti cardinali. Al centro Forte di Granarolo. Sinistra, promontorio di Portofino. Destra, Lanterna, calate portuali, San Benigno e Santa Limbania. Ovest, stabilimento Ansaldo, reparto utensileria, dove presto la mia opera, come fresatore specializzato.
Un giorno, entrando nell’orto, scoprii un cagnolino, con un occhio solo. Incredibilmente, dentro al pollaio, circondato dalle galline, affatto agitate, sembrava ospite gradito dai pennuti.
“Come autore, ho facoltà di inserire questo breve siparietto: non riesco a capire come fece l’animale ad entrare”.
Appena mi vide, tuttavia, si avvicinò, strisciò la coda nei pantaloni, come segno di amicizia. Aveva parrucca candida. Lo chiamai Bianco e brillò subito l’abbaio. Mi saltò intorno, appena strisciai la mano sul suo muso. Era, senz’altro un bastardino, ma si adattò, in fretta, nel gradire la mia compagnia. Una mattina, mi sorprese, prese, fra i denti il collare, si diresse verso il portale dell’orto. Intuii, che desiderava uscire. Ci recammo, dove giocavano museruole di incontri, nel parco di Villa Rosazza. Tornammo appena il sole, bucò la sera. Accoccolato sul divano, Bianco, sembrò percepire attimi di tristezza, frammenti di ricordi. Un ritratto, d’amore, posto sul tavolo di mogano, mi catturò una lacrima. Forse, Bianco, colse il mio cambiamento d’umore e guaì. Sembrò volesse sciogliere la mia dimensione di uomo solo. Mi aspettava sempre quando tornavo dal lavoro.
“Scusate, altro siparietto: per parecchio tempo, rimasi in altro sito”.
Era il 1978 l’Ansaldo e l’Iri comunicarono ai sindacati l’esubero e quindi il licenziamento di quattromila dipendenti. Occupammo, per l’intransigenza della dirigenza centrale, e del governo di allora, tutti gli stabilimenti del gruppo. Poiché, facevo parte della commissione interna Fiom, insieme alle altre strutture sindacali, interne, ci organizzammo per resistere più a lungo possibile. Utilizzammo torni per fare pentole, con lastre di alluminio, adatte a cuocere alimenti, nella cucina mensa, interna. Usammo automezzi, dell’azienda per raccogliere viveri dagli spacci, pacchi di pasta, donati dai portuali, sempre solidali, con noi. Comunque si concretizzò ulteriore possibilità di approvvigionamento da mettere a punto. Avevamo diverse commesse in sospeso per l’occupazione. Una in particolare, più urgente e consistente. Così, per l’occasione, creammo nuova struttura, sindacale, si chiamò, Comitato di Gestione, composto da capi reparto, operai esperti nel costruire turbine. Stabilimmo, subito in contatto con l’azienda norvegese proprietaria della commessa, assicurandone il completamento, in tempo utile. Facemmo un accordo adatto alle nostre necessità culinarie. Niente pecunia, solo viveri, baccalà e stoccafisso.
“Siparietto: a un certo punto, dopo un paio di mesi, di tale vitto, portavamo addosso l’odore del pesce, cotto in tutte le salse”.
Comunque, diede modo di rinsaldare la nostra volontà di resistenza. Nel frattempo, venne proclamato, dai sindacati, lo sciopero generale. Tutta la città si preparò a scendere in piazza, con cartelli pronti ad essere inalberati durante il corteo, Al pomeriggio assediammo, direzione Ansaldo, fino a tarda sera, nonostante cariche della celere.
“Siparietto: faccio notare che l’onorevole Scelba, era Ministro dell’Interno e i caroselli della celere erano quotidiani nel disperdere manifestanti e cittadini con manganellate e ordigni lacrimogeni”.
Blocchi, barricate, comizi volanti, trasformarono vicoli e strade in un campo di battaglia. Quelli del meccanico, saldarono sulle rotaie tram, carri ferroviari. Altri del 25 aprile, si sdraiarono sui binari, impedendo ogni partenza di treni crumiri. Portuali marciarono con i ganci appesi al gonnellino, rosso a quadri. La partecipazione popolare si concentrò al centro di piazza De Ferrari dove il segretario della Cgil avrebbe fatto il punto sulla trattativa per risolvere la vertenza. Di Vittorio, elogiò l’impegno della classe operaia genovese che lottava per la salvezza dell’Ansaldo e dei posti di lavoro. Annunciò che esisteva una possibilità favorevole di intesa, tra le parti in causa. Ci fu un brusio, poi scoppiò l’applauso. Sventolio di bandiere, ogni sigla sindacale lasciava intendere la probabile fine dell’occupazione.
Due giorni dopo al Ministero del Lavoro, venne conclusa la vertenza durata 75 giorni. Quando tornai a casa il cagnolino, con l’occhio solo, non c’era più ad aspettarmi.
“L’ultimo siparietto: devo dire a coloro che avranno occasione di scorrere queste pagine, che, sono dispiaciuto per la sparizione, del piccolo amico, con un occhio solo”.