Michele Gillani.
Vive a Vercelli. Ha frequentato corsi di scrittura creativa presso l’Unipop di Vercelli pubblicando racconti brevi. Nel 1997 ha pubblicato il romanzo: “L’antro di Tiobotas” e nel 2010 il romanzo “Don Romàn”. Partecipa al Concorso 50&Più per la tredicesima volta; nel 2008 e 2009 ha vinto la Menzione speciale della Giuria per la prosa, nel 2010 la Farfalla d’oro per la prosa e nel 2019 la Segnalazione speciale della Giuria sempre per la prosa.
Il quinto anniversario di matrimonio era passato oltre come se nulla fosse, come se cinque anni prima nulla fosse successo tra di loro. Licia non se n’era stupita più di tanto. Da parecchio tempo aveva capito che molte cose erano cambiate tra lei e Marco e che i loro rapporti e la loro situazione sentimentale, in particolare, difficilmente sarebbero tornati ad essere quelli di cinque anni prima.
E’ vero che, nonostante ciò, non si erano ancora separati, tuttavia, sapeva che sarebbe solo stata questione di tempo. Un bel giorno lui sarebbe tornato a casa e, senza darle alcuna spiegazione, avrebbe raccolto la sua roba e se ne sarebbe andato, lasciandola sola, questa volta definitivamente.
Si era macerata l’anima alla ricerca dei motivi che li avevano condotti a questo stato di cose, chiedendosi poi se, quando ed in quale misura avesse sbagliato nei suoi atteggiamenti verso il marito tanto da indurlo ad allontanarsi sempre di più da lei. Ma dopo un esame della situazione, che lei riteneva onesto ed esaustivo, non riusciva a darsi ragionevoli giustificazioni. Capiva che tra loro l’amore era finito ma non ne comprendeva il perché e, meno ancora, di chi fosse la colpa.
Di certo ricordava solo che, da quando avevano saputo di non poter avere figli, i loro rapporti avevano cominciato a raffreddarsi. Nessuno dei due, per la verità, aveva cercato di colpevolizzare l’un l’altro; tuttavia i rapporti sessuali avevano cominciato, almeno da parte di lui, a perdere l’assiduità e la passionalità d’un tempo per rarefarsi e trasformarsi in semplice routine per poi cessare del tutto.
Da parte sua, lei le aveva tentate tutte: aveva cominciato con lasciare l’impiego cercando poi di essere più premurosa e di assecondarlo in tutto; era poi passata all’abbigliamento intimo più sexy, sperando di risvegliare in lui l’antica passione; aveva persino consultato una fattucchiera la quale, dopo averle imposte le mani sul capo, le aveva preparato una pozione miracolosa che di miracoli, in verità, non ne aveva fatti. Aveva infine provato a risvegliare in lui il tarlo della gelosia, facendosi vedere per le vie e nei più frequentati locali del centro in compagnia di suoi ex colleghi o di amici del marito, augurandosi che nel ristretto mondo della cittadina se ne parlasse. Tutto inutile.
Ormai, al colmo della disperazione, aveva deciso di darsi all’alcool. Già al mattino, non appena il marito usciva di casa per recarsi in ufficio, si accomodava in poltrona davanti al televisore acceso con a fianco una bottiglia di vodka. Era quella la bevanda che preferiva, ritenendola la sola che l’aiutasse a fuggire la realtà. Aveva anche pensato di drogarsi ma un timore ancestrale l’aveva trattenuta dal farsi.
Quando lui alla sera tornava a casa e la trovava inebetita e incapace di spiccicar parola, non faceva altro che prenderla tra le braccia e deporla tal quale sul letto senza che da lei sortisse alcuna reazione. Quindi telefonava al ristorante, prenotava la cena per sé, si cambiava ed usciva per rientrare a notte fonda senza che lei se ne rendesse conto.
Fu in una sera come quelle che Marco, rientrato dal lavoro, s’avvide che nel prenderlo tra le braccia, il corpo di Licia aveva perso ogni flessuosità e il suo volto il colorito di sempre mentre dal polso sinistro, abbandonato sul bracciolo della poltrona, un liquido rosso e denso, dopo averne imbrattato il tessuto, scendeva sul pavimento in gocce spesse, sempre più rade, che luccicavano alla luce dell’abat jour.
Al cospetto del volto terreo di Licia, ed al resto inanimato del suo corpo collegato con fili e tubicini quasi invisibili a quelle apparecchiature lampeggianti simili a tanti flipper impazziti che il candore del lenzuolo nascondeva; immerso nella asettica ed anonima atmosfera della sala di rianimazione in cui la voce ossessiva dei bip costituiva l’unica presenza sonora, Marco fu colto da un profondo turbamento che lo costrinse a volgere lo sguardo all’intorno alla ricerca di qualcosa cui appoggiarsi temendo imminente un mancamento.
La sua mente cominciò a vagare per ogni dove alla ricerca dei motivi di quanto era successo. Esaminò la plausibilità di alcuni per poi scartarli, reputandoli improbabili; si chiese dove avesse potuto sbagliare nel rapportarsi con lei; se avesse fatto il possibile per comprendere le sue ragioni e condividerne il senso. L’unica cosa certa, in quel momento, era una grande confusione che si faceva sempre più patente ogniqualvolta il suo sguardo si soffermava sul volto di lei, su quegli occhi chiusi, su quel respiro solo apparentemente regolare. Nel proprio inconscio, tutto quell’essere era impegnato in una lotta disperata e silenziosa per la sopravvivenza, nonostante in un primo momento avesse cercato scientemente il contrario.
“Se solo uscisse dal coma”, pensò, “avremmo un’occasione in più per darci una spiegazione a vicenda”. In quel momento fu colto da un senso di colpa che lo indusse a pensare che quasi mai la conflittualità tra le persone scaturisce per colpa di una sola di esse. Dovette ammettere ch’era stata lei a sacrificarsi molto più di lui pur di raggiungere un soddisfacente equilibrio e che solo a causa della propria intransigenza ciò non era stato possibile.
“Ed allora chi dei due era stato in difetto d’amore?”, si chiese pur conoscendone la risposta che gli sorgeva dall’animo senza, peraltro, distogliere lo sguardo dal volto di lei.
Quella notte non poté prendere sonno: si sentiva rodere l’animo da un costante rimorso. Lasciò il letto ed in piena notte cominciò a passeggiare per la casa senza meta. Entrato in tinello volse lo sguardo all’intorno scorgendo sul pavimento, al lato della poltrona, la bottiglia di vodka a metà. Quando, dopo il ritrovamento di Licia e la folle corsa all’ospedale, era tornato a casa aveva ripulito ogni traccia di sangue dimenticandosi di portarla via. La prese, ne svitò il tappo e se la portò alle labbra, lasciando che il liquido gli scendesse in gola per forza di gravità. Non gli era mai piaciuta la vodka, tuttavia la bevve senza indugio, convinto di riassaporare con il liquore anche i baci di lei.
Al mattino, tornato in ospedale, gli riferirono che proprio in quel mentre sua moglie aveva ripreso conoscenza dopo le molte trasfusioni e che aveva chiesto di lui. Entrato in sala di rianimazione la trovò nella stessa posizione del giorno prima, questa volta però con gli occhi socchiusi e le labbra rosate, pronte all’accenno di un sorriso. A quella vista il cuore cominciò a pulsargli in petto come impazzito mentre il suo animo si predisponeva ad aprirsi alla speranza.
“Avrebbero potuto ricominciare tutto daccapo come se nulla fosse successo?”, si chiese mentre gli occhi cominciavano ad inumidirglisi e quando le prese la mano per portarsela alle labbra e baciargliela, sul volto di lei riapparve il sorriso di sempre, quello stesso sorriso che tanti anni prima l’aveva stregato, facendolo impazzire d’amore per lei.