Addio a Gigi Riva, bandiera del Cagliari, recordman di gol in nazionale, forse il più grande attaccante nella storia del calcio italiano. È morto lunedì, 22 gennaio, a 79 anni, era già leggenda.
Rombo di tuono. Sembrava di sentirlo arrivare da lontano, come fosse un rumore. Come un corno che annuncia una carica, il corno che precede un crescendo rossiniano, quello trionfante del Guglielmo Tell. Per chi non lo ha visto giocare, perlomeno non “in diretta”, come me, Gigi Riva era il titolare del soprannome più poetico nella storia del calcio italiano. Una geniale intuizione di Gianni Brera per condensare in parole il prodigio di quel dirompente infrangitore di difese, ragazzo gracile inesorabilmente destinato al calcio, orfano di genitori, dalla madre accompagnato appena alla soglia della popolarità e ripagato dalla sorte con l’amore di un’intera terra.
Era nato a Leggiuno, sulle sponde del Lago Maggiore, il 7 novembre del 1944. Il padre, sarto, morì per un incidente sul lavoro nel 1953 e la madre fu uccisa da un cancro pochi anni più tardi. A prendersi cura di Gigi ragazzo fu la sorella Fausta, di sei anni più grande. Esordì nel Legnano e arrivò al Cagliari per combinazione: la squadra sarda faceva base proprio a Legnano per le trasferte in alta Italia e scoprì il talento del ragazzo accaparrandoselo dopo aver vinto la concorrenza del Bologna.
Gigi Riva e la Sardegna
In Sardegna Riva scoprì la patria come dimora di elezione. L’affetto degli isolani scabri e sinceri, scolpiti nella pietra e schietti di cuore, come è lui, lo conquistò. Con loro siglò un patto di amore e fedeltà, che andava al di là del calcio, dei soldi, della fama, delle vittorie. Ma al Cagliari, promosso in serie A nel 1964, portò nel giro di pochi anni anche la vittoria: insieme all’acrobatico Albertosi, di professione portiere, al brasiliano Nené, all’allenatore “filosofo” Scopigno, alticcio di whisky quanto svelto di comprendonio, conquistò lo scudetto nel campionato 1969-70.
Giusto in mezzo a due strepitose avventure vissute con la nazionale italiana: gli Europei vinti in patria nel 1968 e i Mondiali persi in finale col Brasile, dopo aver superato 4 a 3 la Germania nella “partita del secolo”. Della nazionale di calcio è ancora oggi il miglior marcatore: 35 gol in 42 partite, nonostante due gravi infortuni che hanno rischiarono di comprometterne la carriera, malgrado la concorrenza di “comprimari” di prim’ordine (da Anastasi a Boninsegna, a Rivera e Mazzola) e l’opposizione di avversari formidabili.
Il ritiro dal calcio nel 1976
Fu capocannoniere del campionato italiano per tre volte, riconosciuto come uno dei più grandi attaccanti al mondo, indimenticabile per chi lo ha ammirato sul campo di gioco. Dopo il ritiro, nel 1976, ha mantenuto stretto il legame col Cagliari, la Sardegna, dove è rimasto a vivere, e la nazionale italiana, di cui è stato accompagnatore per oltre vent’anni dal 1990. In ogni gesto – che fosse il colpo di testa ammirato da Pelé all’Azteca, un tiro al volo contro un impotente difensore, un abbraccio consolatorio a Roberto Baggio, votato a ricalcare le sue orme di “quasi campione del mondo” nel 1994 – Gigi Riva era vitruviano. Perfetto, netto. Un’impeccabile meccanismo umano. Che si annunciava con un rombo e di un rombo lascerà la lunga eco.
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