Dire che Gianrico Carofiglio è uno scrittore è come affermare che la Ferrari Testarossa è un’utilitaria. Oltre ad aver venduto più di sei milioni di copie dei suoi 18 romanzi e quattro raccolte di racconti, è saggista raffinato, è stato a lungo magistrato cui erano affidate indagini delicate e pericolose, senatore per una legislatura ed è cintura nera – sesto Dan, uno dei più alti – di karate. Inoltre…
Lei tiene sulla nostra rivista 50&Più la rubrica La forma delle nuvole, che scrive con sua figlia Giorgia. Qual è il valore aggiunto che un rapporto diretto, un viaggiare gomito a gomito con i più giovani, offre alle persone mature? È veramente un vantaggio oppure mette in difficoltà?
Una delle cose che trovo più patetiche delle persone che hanno più o meno la nostra età (Carofiglio è nato a Bari nel 1961, ndr) è una lettura del mondo nei termini di un universo che va sempre peggio e offre ben poco da sperare. Tutti invecchiamo, ma la maggior parte di noi over pensa che, poiché invecchiamo, il mondo è senza speranza. Basterebbe questo per dire che è indispensabile mantenere vivo il punto di vista di una persona anagraficamente e mentalmente giovane, per leggere il mondo diversamente, per avere un’idea sana di speranza, di comunità, di solidarietà, di non pensare solamente a se stessi.
Il dissenso su temi sociali, dell’etica, della cultura e della politica è da sempre all’ordine del giorno. Viviamo però oggi l’incapacità di gestirli senza che diventino conflitti…
Sono il segno di una società sana, capace di evolvere. Sottoporli a dibattiti civili, come abbiamo fatto ad esempio con la trasmissione Dilemmi, in onda su RaiTre, dovrebbe essere naturale; purtroppo l’esperienza quotidiana ci insegna che naturale non è. Dissensi a volte neanche tanto accesi si tramutano in risse verbali, in aggressioni personali, in ondate di rancore sui social. Questa trasmissione ha in qualche modo dimostrato che l’enunciazione esplicita di alcune regole semplici riduce in maniera radicale le scorrettezze cui siamo abituati, anche in televisione. Il dibattito civile dovrebbe essere regolato dal divieto di attacco alla persona: bisogna attenersi agli argomenti di merito. Poi non bisogna manipolare quello che dice l’interlocutore, attribuirgli quanto non ha affermato, e si deve far fronte all’onere della prova, soprattutto se si fa un’affermazione che va contro le acquisizioni del sentire comune e della scienza. È un metodo del dibattito che dovrebbe appartenere a tutta quanta la politica per consentire di sostenere tesi legittimamente molto diverse.
Ne “Il bordo vertiginoso delle cose” Enrico Vallesi è uno scrittore che entra in crisi dopo il primo e unico romanzo, un personaggio che non le si confà affatto, vista la sua enorme prolificità letteraria. Qual è il trucco per non cadere nel “blocco dello scrittore”?
Su questo sono un grandissimo esperto, perché ho il blocco dello scrittore ogni due o tre giorni. Sono come quelli che sono bravissimi a smettere di fumare, perché lo fanno spessissimo. L’unico trucco è scrivere: sembra una sciocchezza, ma non lo è. Proprio scrivere fisicamente. Non ti viene da scrivere per il romanzo che stai elaborando, scrivi delle parole di seguito, le frasi che ti vengono in mente, fai muovere le dita sulla tastiera o la penna sul quaderno. A poco a poco il blocco si scioglie, e uno inizia a pescare qualche idea che ha senso. Non ho mai avuto facilità di scrittura. So che può sembrare strano, ma Thomas Mann diceva: «Lo scrittore è la persona per la quale scrivere è molto più difficile che per tutti gli altri». Per quel che mi riguarda è vero. La modalità migliore per evitare qualsiasi tipo di paralisi in ogni attività è muoversi, non restare fermi. Se si resta fermi è più facile essere colti dal panico, e se si è colti dal panico la paralisi si autoalimenta e questo può diventare molto pericoloso.
In questo senso in ciascuno dei suoi personaggi seriali c’è un po’ di lei che cerca di risolvere qualcosa?
Senza dubbio. In qualsiasi personaggio di un romanzo, un ciclo, singolo, doppio, uno scrittore o una scrittrice che scriva onestamente, ovvero che cerchi di scavare nella sua interiorità per raccontare qualcosa che meriti di essere raccontato, metta qualcosa di sé, un pezzo della sua verità, anche se non c’è nulla di autenticamente vissuto da chi scrive. I personaggi dei romanzi – per me, per altri può essere diverso – sono compagni di strada per cercare di capire qualcosa che non ho capito.
Perché solo ultimamente ha scelto di narrare di un suo alter ego donna, l’ex-magistrato Penelope Spada, protagonista dei suoi ultimi due romanzi?
È una donna in cui mi ritrovo molto, molto più che in certi personaggi maschili. Già in passato, e con questi due romanzi ancora di più, ho avuto curiosità per talune particolarità femminili di leggere il mondo, di condividere l’esperienza. Quando mi è successo di raccontare delle storie dal punto di una donna, raccontate in prima persona, questo fenomeno, questo senso di immedesimazione che è un po’ bizzarro, si è amplificato. Quindi sì, questo personaggio è abbastanza autobiografico pur nella diversità totale: io non sono uscito dalla magistratura per un trauma, ma per una mia decisione. Però, ad esempio, condivido con Penelope la nostalgia per quel lavoro, che mi è molto piaciuto, ed è una parte di me che rimarrà sempre.
Nel romanzo sembra arrivare per Penelope, ormai solo “una investigatrice che viene messa in imbarazzo dalla gentilezza”, un nuovo amore. Come dobbiamo fare per aprirci a questa nuova disponibilità a incontrare l’altro – non solo il nuovo amore -, cosa dobbiamo dimenticare o accantonare e che canali dobbiamo aprire?
È una domanda molto difficile, cui vorrei dare una risposta generale. Bisogna dimenticare se stessi, dimenticare il proprio ego. Mettersi in ascolto. Che peraltro è molto più interessante che rimanere concentrati su noi stessi, sulla nostra vanità, sul nostro narcisismo, sul nostro bisogno di imporre la nostra presenza. È ovvio che non è una cosa facile, richiede esercizio, lo insegnano le arti marziali, richiede alcune discipline inusuali. Per esempio, un buon modo per entrare in rapporto con gli altri è scoprire il ridicolo di noi stessi, è il vedere come tutti quanti siamo ridicoli, ci sono proprio delle tecniche efficaci per sconfiggere l’ego, per distruggere la sua gabbia. Tendenzialmente noi siamo molto bravi nel vedere il ridicolo negli altri, gli altri ci fanno ridere parecchio, mentre solitamente ci prendiamo molto, molto sul serio. Quando invece uno diventa bravo o brava a non prendersi sul serio, si accorge di vedere il mondo con più lucidità, se stesso con più obiettività, ed è più capace di ascoltare gli altri.
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