Giuseppe Gesano.
Già ricercatore all’Università di Roma “La Sapienza”, poi professore associato di Demografia all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, infine dirigente di ricerca del CNR e direttore d’Istituto nel campo degli studi di popolazione; ora pensionato. Partecipa al Concorso 50&Più da diversi anni e, nel 2017, ha ricevuto la Menzione speciale della Giuria per la prosa. Vive a Roma.
“Corso d’altura: Fezzano-Barcellona e ritorno, 21 ott. – 5 nov. Navigazione che può essere impegnativa in quella stagione. Gerani astenersi!!!”.
Il messaggio era chiaro e seducente. Dopo alcune esperienze estive, nelle quali aveva dovuto affrontare al massimo dei colpi di vento, qualche groppo, un po’ di mare formato, il suo desiderio era di mettersi alla prova. In autunno, il golfo del Leone è tutto un’altra cosa: prometteva, anzi, minacciava un’avventura irrinunciabile per chi volesse credere d’essere un vero velista.
Doveva fare i conti, però, con quell’ammonimento tutto maiuscole e punti esclamativi: incomprensibile ai più, ma non per chi conosce la skipper che sarebbe stata al comando della barca. Ai suoi equipaggi lei spiega che il termine andatura al giardinetto, quando il vento viene da dietro ma non proprio in fil di ruota, deriva dagli antichi galeoni. Agli angoli tra lo specchio di poppa e le fiancate vi erano delle balconate adorne di piante. Tra queste il pelargonium, volgarmente geranio, che ha caratteristiche di crescita, di fioritura e di resistenza compatibili con la navigazione d’altura. Era, però, un abbellimento un po’ lezioso per dei rudi ufficiali di marina e, soprattutto, non tornava utile al benessere dell’equipaggio, come lo erano invece i limoni anti scorbuto. Per analogia, la skipper cataloga sotto l’epiteto geranio tutti quei crocieristi che si imbarcano solo perché costretti da parenti o amici fanatici della vela o perché convinti dall’ambiente che frequentano che è trendy potersi vantare di una esperienza in barca a vela. Non solo non sanno far niente da marinai né d’altro utile a bordo, ma si rifiutano persino di imparare, ostentando un superbo disinteresse verso ogni manovra, verso ogni servizio di guardia. Tanta schifata altezzosità merita un’adeguata collocazione, e la skipper, anche per toglierseli di torno, li invita a installarsi agli angoli della poppa durante la navigazione, proprio come gli inutili gerani nei giardinetti dei galeoni.
Lui geranio non lo era mai stato, nonostante la sua limitata esperienza marinara e una struttura fisica non proprio da Braccio di Ferro. Aveva sempre avuto, e ancora manteneva, il desiderio di imparare; era anche consapevole che a bordo è indispensabile rendersi utili in tutto e per tutto, e che bisogna evitare di creare problemi agli altri e alla barca. Proprio quest’ultima era la remora che lo tratteneva dal prenotarsi per quella traversata autunnale: l’età avanzava e il suo fisico rispondeva sempre meno agli stimoli che la mente avrebbe voluto mantenere vitali. Sempre più spesso era proprio qualche problema fisico a imporsi, tarpando quei desideri e quella voglia di continuare a vivere in modo non diverso dal passato. Temeva, perciò, di non essere più all’altezza della sfida, di risultare inutile, addirittura di poter diventare un peso per il resto dell’equipaggio, magari perfino un problema.
Ma alla fine aveva prevalso l’imprudente ottimismo della volontà sul pacato pessimismo dell’intelligenza e si era imbarcato, trovando a bordo un equipaggio di giovani euforici. Sulle prime questo l’aveva rassicurato, nel caso in cui non fosse stato in grado di contribuire in pieno. Alla prima difficoltà durante la navigazione di andata (peraltro molto tranquilla) si era però reso conto che a quei giovani mancava lo spirito di sacrificio indispensabile per andare per mare. Chiese perché si fossero imbarcati e venne fuori che per loro contava non tanto la traversata, quanto la meta: Barcellona e la sua movida.
Anche per lui la tappa intermedia aveva costituito un motivo in più per partecipare alla crociera: voleva portare il suo cordoglio alla Rambla, che aveva subìto quell’infame attentato a metà dell’agosto precedente. Non era curiosità la sua, ma il desiderio di testimoniare la propria partecipazione là dove, ancora una volta, l’inganno di uomini spietati e il miraggio di un paradiso sanguinario hanno trasformato la rabbia di una gioventù emarginata in furia omicida, incapace persino di quelle discriminazioni di fede o di etnia da cui vorrebbe trarre le proprie assurde ragioni.
Attraccata la barca a Barceloneta, i giovani erano spariti in gruppo per perdersi nella notte catalana. Lui e la skipper avevano risalito la Rambla e si erano soffermati al vivace mosaico tondo di Miró, quasi un bersaglio sul quale il furgone omicida aveva interrotto la sua carneficina. Su un lato dello slargo, sotto un lampione disegnato da Gaudí, qualche mazzo di fiori ormai rinsecchiti, un cartello in catalano con su scritto “no tinc por” e un altro, più verboso e in castigliano, intitolato “No cambiam nuestros hábitos”.
Di fatto, nelle strade di Barcellona avevano trovato un contrasto intestino alla popolazione che, già dimentica della sfida comune del terrorismo jihadista, si divideva ideologicamente su vetuste diversità culturali e storiche ma, in realtà, era separata da egoismi e da interessi ben più attuali e concreti.
I due discussero a lungo davanti a un piatto di rossejat, in cui apprezzarono il frutto saporito del meticciato tra la cucina araba e quella catalana. La cacciata dei mori dalla penisola iberica (completata proprio quando si assemblava il regno di Spagna e nuove terre si aprivano all’espansione forzosa del cattolicesimo) e la successiva persecuzione dei moriscos nei tempi tenebrosi dell’Inquisizione non erano riusciti a guastare il comune gusto di vivere. Lui si chiedeva se gli atteggiamenti guasconi di sfida o la pretesa di continuare testardi la nostra comoda vita siano le reazioni più sensate davanti a una violenza che nella sua irrazionalità pretende di basarsi proprio su differenze religiose, etiche e culturali, e che si irrobustisce nel contrasto muscolare. Lei gli contrapponeva che ogni tentativo di dialogo sarebbe potuto sembrare un cedimento, un riconoscimento delle ragioni degli assassini. Non erano riusciti a trovare un’intesa. Si erano però trovati d’accordo che il recente voto minoritario della Catalogna nel referendum sull’indipendenza dalla Spagna, come anche la conseguente reazione del governo centrale e le violenze della polizia negavano nei fatti quella democrazia che entrambi i contendenti pretendevano di voler difendere. Forse che non erano già questi degli stravolgimenti dei princìpi sui quali si basa la nostra civiltà occidentale? Una sospensione della dialettica per imboccare le strade più dirette del conflitto e della rissa?
Nella notte tra l’uno e il due novembre, sulla rotta di ritorno, incapparono in una burrasca di Mistral. Li aggredì nel buio una volta usciti dal riparo della Costa Brava. Erano già state prese tre mani di terzaroli sulla randa; il genoa andava ridotto alle dimensioni di una tormentina, giusto per poter governare la barca. La cima, però, si era incattivata nell’avvolgifiocco. Qualcuno doveva andare a prua per sbrogliarla. La skipper era impegnata al timone; i giovani si guardavano l’un l’altro terrorizzati. Lui agganciò l’imbragatura di sicurezza alla life-line, uscì dal pozzetto sopravvento e gattonando arrivò a prora, illuminata dal proiettore di ponte.
Aveva appena scavallato la cima e controllato il recupero della vela quando la barca si affacciò sulla cresta di un’onda enorme; l’abisso che la seguiva pareva poterla inghiottire tutta intera. Lui serrò le gambe attorno alla landa dello strallo mentre, urlando nel furore del vento, indicava col braccio di puggiare. Poi appoggiò la testa e le spalle contro il pulpito di prua, ancorandovisi con le braccia, e si preparò a subire il contraccolpo ormai prossimo.
Per quanto la skipper, seguendo le sue indicazioni, avesse portato la barca a scendere la parete d’acqua di traverso, il tonfo della prua nel cavo dell’onda fu micidiale. L’acqua sommerse tutto il ponte e tutto dilavò.
Poi, lentamente, la prua riemerse e… lui era ancora là, aggrappato ai suoi sostegni che, anche se piegati da quella furia, avevano retto.
Si tastò nelle membra per verificare che niente si fosse rotto e poi, piano piano, ritornò nel pozzetto, accolto con deferente incredulità dal resto dell’equipaggio.
Mentre si liberava dell’acqua entrata negli stivali e nel cappuccio della cerata la skipper gli chiese se non volesse andare a sdraiarsi sottocoperta. Lui immaginò sé stesso sepolto in uno dei due loculi che in quella barca spartana sono le cuccette di poppa.
Arrampicandosi sull’angolo di poppa sopravvento le rispose: “Sembra che non sia ancora venuto per me il tempo dei crisantemi… Preferisco rimanere qui fuori a fare il geranio”.