Anna Gemma.
Insegnante in pensione. Lettrice appassionata, per lei scrivere è un modo di creare mondi nuovi, di condividere, pensieri, fantasie, riflessioni che, se non espressi con parole, resterebbero sconosciuti e svanirebbero con me. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta; nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della Giuria per la prosa. Vive a Trapani.
La barca continuava da giorni a scivolare sulle acque del fiume e le rive erano lontane.
Bianchino, a bordo, appollaiato su quella ridicola poltrona regale, non riusciva a farsi una ragione dell’ingrato destino che gli era toccato.
Nelle ricche terre delle valli bresciane, era stato un sovrano potente; aveva regnato su una numerosa colonia di valorosi gatti bianchi con gli occhi azzurri, tutti lo temevano e ubbidivano alle sue volontà. Nel suo regno erano banditi gli stranieri, le micie potevano partorire solo candidi micetti, e i gatti maschi sorvegliavano i confini del loro territorio, impedendo ad ogni altro felino, che non fosse bianco e figlio di gatti bianchi, di soggiornarvi.
Poi era accaduto l’impensabile: un randagio, di un orrendo pelo tigrato, si era clandestinamente infiltrato in quel regno e vi soggiornava, a dispetto dei proclami sulla difesa della razza e dei confini. Nessuno s’era accorto della sua presenza, tranne un micia giovane e romantica, alla quale parve bellissimo quel gattone coraggioso e prestante dal mantello scuro e tra i due nacque una passione incontenibile. Si incontravano segretamente nelle notti senza luna e lontani da tutti si scambiavano le più dolci fusa.
Ma si sa, l’amore non si può nascondere a lungo e quando la micia partorì quattro micetti identici al padre, scoppiò il finimondo.
Bianchino, dall’alto del suo trono, con fare imperioso, decretò che la micia fosse cacciata dal regno e che i cuccioli fossero annegati nel fiume. In quel momento, sbucò dalla boscaglia il gatto tigrato, col pelo irto e gli artigli sfoderati, si avventò tra la folla di gatti bianchi per salvare i suoi piccoli, ma venne circondato e fatto prigioniero; la sua micia, vedendolo in catene, lanciava miagolii disperati e supplicando il sovrano, faceva, con il suo corpo, scudo ai gattini. I gatti bianchi, presi da pietà, ebbero un momento di indecisione. Bianchino, in preda alla collera, alzò la sua zampa e ferocemente miagolò: “Uccideteli!”.
Un silenzio inaudito calò sul popolo dei gatti bianchi: il loro sovrano nascondeva sotto l’ascella un ciuffo di peli neri. Inorriditi tutti fecero un passo indietro, poi un grido si alzò unanime dalla folla: “bastardo”.
La folla è pazza, specie se a plagiarla è stato un sovrano pazzo, e le pietre lanciate spesso ritornano su chi le scaglia. Bianchino, secondo le leggi che egli stesso aveva voluto, fu sollevato di peso con tutto il suo trono, issato su una barca abbandonata sulla riva del fiume e spinto al largo, verso un destino crudele.
Per giorni, portato dalla corrente, aveva implorato d’essere accolto da colonie di gatti sovranisti, ma nessuno lo accolse ed alla fine del suo viaggio, Bianchino naufragò in un mare burrascoso.