Alcuni studi stanno sondando l’esistenza di un gene protettivo per l’Alzheimer. Un 67enne colombiano, infatti, sembra essere sopravvissuto proprio grazie a questo. E non è il primo caso.
Il destino di un cittadino colombiano, noto come paziente J., sembrava segnato da una diagnosi di Alzheimer precoce che lo avrebbe portato alla demenza a 49 anni e alla morte intorno ai 60. Tutto a causa di una variante genetica, nota come Presenilina 1, associata all’insorgere della patologia. Ma, con stupore dei medici, quest’ultima si è verificata solo in forma lieve a 67 anni lasciandolo proseguire nella sua attività di meccanico fino alla scomparsa per altre cause, avvenuta all’età di 74 anni.
Gene protettivo per l’Alzheimer: uno scudo genetico
Studiando il cervello dell’uomo i ricercatori hanno identificato una nuova variante genetica che potrebbe fare da scudo all’organismo, proteggendolo dall’insorgere dell’Alzheimer. Lo studio è stato condotto tra gli altri dal Massachusetts General Hospital e dall’Università di Antioquia in Colombia. Il team nutrito di scienziati ha potuto attribuire questa straordinaria resistenza ad una seconda mutazione genetica, detta Colbos. Una variante del gene Reln noto per codificare la proteina relina, alla quale i ricercatori legano i 20 anni di resistenza all’Alzheimer. La vicenda ha sollevato molto clamore tra gli scienziati anche perché interessava un membro di una famiglia “allargata” colombiana già oggetto di studio, in quanto molti appartenenti risultano portatori della famigerata Presenilina 1.
Il precedente
Il paziente J. è la seconda persona conosciuta per possedere nella mappa genetica la variazione incriminata senza però soffrire di Alzheimer precoce. La prima è stata Aliria Rosa Piedrahita de Villegas, una cittadina colombiana morta nel 2020 a 77 anni avendo contratto la demenza ben 30 anni dopo il previsto. Alira sarebbe sfuggita alla malattia grazie ad un’altra variazione genetica, chiamata Apoe Christchurch. Il meccanismo di difesa dell’organismo in entrambi i casi non è chiaro del tutto perché mancando alcuni passaggi. Ma ciò che appare certo è che entrambe le mutazioni, Colbos e Christchurch, sono collegate ai recettori della corteccia cerebrale, che gioca un ruolo chiave nel controllo delle più importanti capacità cognitive e nella gestione dei movimenti volontari.
La “maledizione” dell’antenato misterioso
Ma perché entrambi i casi in Colombia? Tutto per i ricercatori cominciò nel XVIII secolo quando un uomo, probabilmente spagnolo, portò una misteriosa malattia in una regione del Paese chiamata Antioquia. Si trattava di una mutazione genetica unica, assente nelle generazioni precedenti, responsabile dell’insorgere dell’Alzheimer precoce. Oggi sono circa 6.000 i discendenti in quella zona e 1.200 di loro sono portatori della mutazione Prenesilina1. La demenza precoce è così comune in quell’area geografica da aver assunto nei secoli nomignoli popolari, con i quali è conosciuta nei vari pueblos, come quello di “la bobera” (letteralmente “la tontaggine”).
Il ruolo della genetica
La ricerca è sempre impegnata sul fronte della diagnosi precoce, ma è importante sottolineare che lo studio non apre a prospettive immediate riguardo le terapie farmacologiche di contrasto all’Alzheimer. Tuttavia, svolge un importante compito di comprensione sulle dinamiche della malattia, anzitutto perché suggerisce la capacità dell’organismo nell’ideare strategie di difesa e resilienza, alcune delle quali attualmente potrebbero ancora essere sconosciute. Inoltre, spiegano gli autori, conoscere quanto le varianti genetiche individuate influiscano sulle funzioni cerebrali è molto importante per condurre a nuove terapie mirate a ripristinare (o imitare) i meccanismi di protezione messi in atto dagli organismi dei pazienti resilienti.
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