Creare percorsi coinvolgenti per facilitare l’apprendimento: le strategie ludiche sono efficaci sia tra i nipoti che tra i nonni.
Rendere tutto un gioco per coinvolgere, informare, educare o far comprendere temi a volte complessi. È la missione della gamification, una serie di tecniche ludiche e di strumenti tecnologici che favoriscono apprendimento e memoria. Ma quali sono le prospettive di questa metodologia così innovativa? E possono essere applicate alla comunità senior? Lo abbiamo chiesto al professor Christian Leorin, docente di Informatica applicata alla logopedia all’Università di Padova e di Comunicazione Aumentativa Alternativa all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Professor Leorin, quali sono i benefici della gamification?
Coinvolgere e motivare, attraverso strategie ed elementi tipici del gioco, in particolare dei videogiochi, rendendo piacevole, interessante e coinvolgente il processo di apprendimento o lo sviluppo, il mantenimento o il recupero di alcune abilità cognitive. Soprattutto le funzioni esecutive, ossia quelle che permettono di mettere in atto azioni per raggiungere un obiettivo. L’impiego di elementi “game-like” ha la funzione di rendere interessanti e coinvolgenti attività utili, spesso necessarie, che correrebbero il rischio di essere gravose, ripetitive e noiose. Non dimentichiamo il risvolto positivo che può avere sulla prestazione un’attitudine attiva e dinamica, fortemente coinvolta e divertita. In ambito riabilitativo c’è spesso bisogno di ripetere gli esercizi, che siano cognitivi o motori, al di fuori della seduta riabilitativa. Il fallimento dei percorsi riabilitativi coincide frequentemente con una scarsa costanza nelle attività da compiere autonomamente. È qui che la gamification può fare la differenza.
La cultura della gamification trova sempre più spazio nelle scuole. Può essere estesa a tutta la popolazione, anche a quella senior?
Non ci sono limiti, bisogna tuttavia capire a quali contesti ci si vuole riferire e quali sono gli obiettivi. Spesso per l’anziano e l’adulto i progetti di gamification sono rivolti alla riabilitazione, al mantenimento e al recupero funzionale di qualche abilità o competenza piuttosto che all’apprendimento. Nell’ambito della riabilitazione cognitiva, si ricorre spesso a strategie ludiche o a veri e propri videogiochi per valutare o favorire il recupero di abilità cognitive o esecutive. Il recupero di risorse attentive ed esecutive è sicuramente facilitato da una forte motivazione e dal coinvolgimento nell’attività. Motivazione ed emozioni sono infatti i centri che regolano queste funzioni.
Allo stesso modo l’utilizzo di strategie tipiche del gioco è utilizzato nel balance training, ovvero quelle terapie volte a migliorare l’equilibrio in pazienti con demenza, post-ictus o con il Parkinson. Ma anche nella prevenzione delle cadute, nel mantenimento e miglioramento della forma fisica, nell’adattamento digitale della propria abitazione. Altre strategie di gamification sono utilizzate per favorire la conformità al trattamento farmacologico o alle istruzioni del medico.
Per quanto concerne la dimensione dell’apprendimento?
L’utilizzo di videogames potrebbe facilitare la familiarizzazione della popolazione più adulta con gli strumenti tecnologici, vincendo la naturale diffidenza nei confronti della tecnologia con le armi della motivazione o della competizione. L’associazione gioco-alfabetizzazione digitale potrebbe inoltre avere importanti ricadute sociali, in particolar modo nello scambio intergenerazionale. Diversi sono anche gli strumenti tecnologici in cui le strategie di gaming sono implementate e testate. La maggior parte degli studi utilizza strumenti portatili (smartphone o dispositivi indossabili) o console (Play-Station, Xbox, Wii); in minor misura, invece, sono stati utilizzati robot o dispositivi di realtà aumentata.
C’è del pregiudizio, secondo lei, in Italia, a ricorrere alla gamification quando si ha a che fare con gli anziani?
Anche qui dipende un po’ dagli obiettivi. Si tende spesso a confondere il gioco con un’attività “per bambini”. Non deve essere per forza così. È necessario che il gioco sia personalizzato e tarato sulle preferenze e sulle competenze della persona.
La “gamification” tra i banchi di scuola
«All’interno della scuola la gamificazione fa parte di un progetto che mira, sulla base di evidenze scientifiche che ne certificano l’efficacia, ad utilizzare strategie di insegnamento diverse dalla tradizionale lezione frontale». Lo sostiene Giovanni Nicoli, ricercatore della Nottingham Trent University. In rete si trovano già vari giochi preparati per la didattica. «Nella pagina Save the Children dedicata alla promozione della “gamification” si trovano alcuni esempi interessanti di serious game messi a disposizione della didattica e dell’apprendimento. Non è tuttavia necessario – precisa Nicoli – ricorrere a giochi preconfezionati per poter introdurre la gamificazione all’interno della didattica. Al contrario, ricorrere a soluzioni personalizzate sui discenti o sugli argomenti che si vogliono trattare potrebbe risultare più efficace». La gamification è sostenuta dal Miur attraverso il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), un largo progetto di innovazione e digitalizzazione della didattica.
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