Franca Giovanna Gambetti.
Ha lavorato come segretaria di direzione fino alla pensione. Ha fatto anche parte di un’associazione europea di analoghe segretarie con il ruolo di tesoriera nazionale. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Genova.
Ogni mattina Andrea, il maggiore dei miei figli, prima di recarsi in studio passa da casa mia per un saluto. Si ferma pochi minuti, ma io gliene sono ugualmente molto grata perché mi riempie di calore per l’intero giorno.
Stamani però si sofferma in silenzio, fissandomi.
“Andrea cosa succede? Hai qualche problema?”.
“Cara mamma, non ho alcun problema. Si tratta invece di un invito che ti volevo rivolgere: ne ho anche parlato e con mio fratello che è d’accordo con me. Pensiamo infatti sia giunto il momento che tu esca da questo lutto che ti sei imposta e che, non ti nascondiamo, ci addolora molto. Tu sai quanto ti amiamo e, siamo certi che anche Papà Enrico, che ti vede da lassù, avrà il nostro stesso desiderio”.
Sospende quella che nel mio intimo definivo già “una sgridata” ed aggiunge: “Ti ho portato un biglietto per la prossima opera. Accettalo ti prego”.
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“Enrico sei pronto? Non ti fare troppo bello, altrimenti le signore guarderanno solo te”.
Eccolo che arriva: entrambi vanitosi, ci osserviamo nella grande specchiera.
Mi soffermo un attimo: “siamo proprio una bella coppia” – come dicono, celiando, i nostri figli. In effetti nell’atrio del teatro cogliamo diversi sguardi di ammirazione. E ne siamo anche compiaciuti.
L’opera è molto bella e l’esecuzione è perfetta.
Me la godo anche con qualche lacrimuccia che cerco di nascondere.
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Sono seduta in poltrona e sto riflettendo sulle parole di mio figlio. Dovrei essere ragionevole, mi dico, e sforzandomi di seguire il suo consigli, apro la busta. Andrea è stato astuto: ha scelto la mia opera preferita.
Decido: andrò senz’altro. Anzi mi metterò “in ghingheri”.
Eccomi a teatro, quando arrivo alla mia poltrona un signore accanto al mio posto si alza e mi porge un cortese “buonasera”.
Resto piacevolmente stupita e lo osservo di sottecchi: è proprio un bell’uomo, con un’eleganza discreta. Avrà circa la mia età.
L’inizio del primo atto mi distoglie da questi pensieri che, mio malgrado, non mi fanno sentire colpevole per aver trovato interessante una persona sconosciuta. Sono intenta all’ascolto dell’opera quando la mia mano, poggiata sul braccialo della poltrona, viene sfiorata leggermente.
La ritraggo, ahimè non troppo velocemente, e mi giunge un sussurro “mi scusi”.
Non rispondo.
Arriva l’intervallo. Perché non accenniamo ad alzarci per andare nel foyer?
“Signora se permette vorrei presentarmi e mi scuso ancora per averle sfiorato la sua bella mano. Non intendevo certo essere indiscreto”.
Ora devo essere cortese: sorrido un po’ turbata.
Perché questo turbamento non mi infastidisce, anzi mi soffermo ad esaminarlo: è una sensazione “antica”, che mi fa tornare ad emozioni ormai dimenticate.
Il mio vicino mi sta raccontando brani della sua vita che è quasi lo specchio della mia. E’ rimasto solo con figli grandi, sì molto affettuosi, ma con la loro vita.
“E lei, signora, viene spesso sola a teatro?”.
Non posso ignorare la domanda fatta con molto garbo.
“Ormai se voglio continuare a venire all’opera, dovrò essere sola”.
Siamo al termine dell’opera ed entrambi ci prolunghiamo negli applausi.
Al guardaroba mi aiuta ad indossare il mantello, indugiando per un attimo sulle mie spalle. Perché non mi irrito? In altri tempi avrei considerato quel gesto come troppo confidenziale!
All’arrivo del mio tassì, mi porge un biglietto da visita.
“La prego Signora mi farà felice con una sua chiamata. Parleremo di cose ovvie,
del tempo. Ma la prego, almeno una volta mi chiami”.
Salgo con un frettoloso “buonanotte”.
A casa mi accorgo che sto canticchiando. Da tempo non mi sentivo così rilassata e di buon umore. Osservo pensosamente il biglietto da visita.
“Ma sì, caro avvocato, tra qualche giorno ti chiamerò”.