Gli esordi con il Trio Medusa, la conduzione a Radio Dee Jay e i programmi a Discovery, lo showman romano si racconta tra bilanci e nuovi progetti in attesa che il suo libro diventi un film
«Ci sono fan che definiscono la settimana del Festival di Sanremo addirittura ‘santa’. È un evento importantissimo per noi italiani. Per me non è solo una grande emozione accompagnare il pubblico verso questa 75ª edizione, ma anche una grande responsabilità». Quando raggiungiamo al telefono Gabriele Corsi, manca ancora qualche settimana all’inizio della kermesse canora, in programma da martedì 11 a sabato 15 febbraio. Il conduttore romano, 53 anni, sarà alla guida del Prima Festival su Rai 1, insieme a Bianca Guaccero e Mariasole Pollio, già dal 7 febbraio, subito dopo il Tg1 delle 20.
Componente del Trio Medusa, con il quale conduce ormai da oltre vent’anni su Radio Deejay il programma Chiamate Roma Triuno Triuno, Corsi ha costruito la sua carriera anche da solista, tra televisione e radio, diventando uno dei volti di punta di Discovery con show come Don’t Forget the Lyrics-Stai sul pezzo e Il contadino cerca moglie. Lo scorso ottobre è uscito il libro Che bella giornata. Speriamo che non piova (edito da Cairo), racconto della sua esperienza di servizio civile nel 1998 all’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma, ma anche una lettera d’amore a suo padre, malato di Alzheimer. Il libro, come annuncia lo showman a 50&Più, diventerà prossimamente un film.
Corsi, possiamo dire che è un veterano di Sanremo.
Ne ho fatti dieci come inviato de Le iene con il Trio Medusa, più un Dopofestival su Radio 2 con Ambra Angiolini e la Gialappa’s. Devo ringraziare Carlo Conti per la fiducia che ha riposto in me quest’anno. Il Prima Festival porta gli spettatori alla scoperta della serata. Con Bianca e Maria Sole cercheremo di raccontare il colore, il dietro le quinte di questo parco giochi infinito dedicato alla musica. Non dovrà mancare il ritmo, lo stesso che ho cercato di dare in questi anni alla conduzione dell’Eurovision.
Quando c’è il Festival, il paese sembra fermarsi per una settimana.
Viene vissuto con grandissima attenzione. Anche quelli che dicono di non guardarlo, alla fine lo guardano. La canzone italiana è un patrimonio culturale di questo paese, al di là dell’aspetto folcloristico e delle polemiche che non mancano mai tutti gli anni al Festival. Mia figlia studia canto jazz a New York e tutti i locali, che hanno comunque una parvenza d’italianità, hanno il televisore sintonizzato su Rai1 quando c’è Sanremo.
Che bilancio fa di questi anni?
Sono molto felice del percorso fatto tra tv e radio. Ho avuto la fortuna di fare quello che mi piaceva e il privilegio di lavorare con un gruppo come Discovery, ma anche in Rai e a Radio Deejay. Insomma, sento di essere un personaggio trasversale, continuando a mettere sempre me stesso in ciò che faccio.
Del 2024, che si è chiuso da poco, cosa porta nel cuore?
Tanti progetti. Ma soprattutto la possibilità di scrivere un libro che è andato benissimo. Siamo già alla quarta ristampa. La società di produzione Stand by Me ne ha comprato i diritti per farne un film, che probabilmente sarà diretto da Rolando Ravello, un regista dalla grande sensibilità e umanità. Sarò felice se riusciremo a rendere in immagini le mie parole. Bisognerà trovare il giusto attore che interpreti me quando avevo 27 anni. Io sarò presente nel film come voce fuoricampo, quando parlo del mio papà.
Lei ha affidato al pubblico un racconto molto personale.
È stata più un’esigenza mia che un atto di generosità nei confronti dei lettori. Però, tantissima gente mi ha scritto ringraziandomi per aver condiviso questa esperienza. Ci sono persone che purtroppo vivono da sole una malattia, che sia psichica o degenerativa. Si sentono abbandonate. I proventi del libro li ho donati all’Unicef, di cui sono Ambasciatore, ma anche ad Altea, associazione che fa assistenza domiciliare a chi non può permettersi quella privata.
Immaginava un riscontro così importante?
Non pensavo che il libro avrebbe avuto così tanta eco. Condividere, anche semplicemente parlarne, fa bene a chi vive una situazione del genere. In Italia ci sono 600mila malati di Alzheimer. Questa è una malattia che ti spegne. È molto doloroso. Io non ho mai abbracciato così tanto mio padre come ho fatto in questi ultimi tempi. Anche perché non me l’avrebbe permesso, essendo un uomo di un’altra generazione. Ora ci diciamo tante cose, senza dircele. Tutti siamo convinti di avere tanto tempo a disposizione e poi ci rendiamo conto che non ne abbiamo per dire alle persone quanto sono importanti per noi.
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