A 65 anni, il grande motociclista vicentino Franco Picco ha portato a termine in solitaria una delle gare più faticose al mondo: il Rally Dakar. Picco, che non è nuovo ad imprese sportive di questo tipo, può contare su un’esperienza più che trentennale nel settore del Rally.
Uno sport estremo
Già nota come “Parigi-Dakar”, la corsa – nata nel 1979 – si tiene ogni anno a gennaio. Una sfida a tappe alla natura selvaggia, migliaia di km macinati in appena 15 giorni, in compagnia del proprio mezzo, di una mappa e di un segnalatore Gps. Alla competizione sono ammessi auto, moto, camion e quad, purché fuoristrada. Poco prima della partenza ai partecipanti viene fornito il Road Book, che contiene il percorso di gara, conosciuto fino a quel momento solo a grandi linee. Qualsiasi sopralluogo sul percorso nei giorni precedenti viene punito con la squalifica immediata.
Si dorme poco, solo lo stretto necessario, occupandosi giornalmente della manutenzione del mezzo. L’unica cosa che conti veramente. Quest’anno la competizione si è svolta dal 3 al 15 gennaio, lungo le piste del deserto dell’Arabia Saudita: oltre 7.600 km suddivisi in 12 tappe.
Una leggenda italiana
Franco Picco, soprannominato l’Africano, in sella alla sua Husqvarna FR450 Rally, è uno dei piloti che – agli inizi di quest’anno – hanno sfidato le dune del deserto.
Il pilota vicentino, veterano del rally estremo, si è iscritto alla gara nella categoria “Motul”, quella riservata ai più “tosti”, che gareggiano in solitaria, senza alcuna assistenza esterna. Il che vuol dire provvedere di persona alla manutenzione quotidiana della moto, riposando poche ore per notte. Sveglia all’alba, una rapida colazione e centinaia di km da percorrere senza perdersi né cadere fino al bivacco successivo. Con un piccolo kit di sopravvivenza al seguito e un equipaggiamento ridotto all’osso contro il sole, la pioggia e il freddo delle notti nel deserto.
Il valore dell’esperienza
«Inizialmente – come lui stesso ha raccontato ai giornalisti – gli organizzatori erano scettici ad iscrivermi nella categoria più dura a causa della mia età. Ma poiché nei rally l’esperienza conta quanto la prestanza atletica, alla fine hanno ceduto». Chiede – ed ottiene – che sul dorso della sua moto venga stampato il numero 65 come monito a se stesso, per ricordare che, in ogni caso, la prudenza è d’obbligo. E parte con in testa un solo obiettivo: arrivare in fondo. Arriva 11° nella sua categoria. Un successo straordinario che lo fa entrare a pieno diritto nel mito.
Una vittoria per la longevità
Dopo un nutrito palmares di vittorie, questa volta Picco ha aggiunto un nuovo record alla gara, quello della longevità. Per la prima volta ammette di aver prestato più attenzione alla guida che al Road Book. Ma ha tenuto duro, nonostante la consapevolezza di non essersi potuto allenare come sempre prima di una gara. La pandemia infatti lo ha bloccato costringendolo a sfruttare al massimo le poche occasioni concesse per correre su una pista di motocross. L’esperienza trascorsa gli ha fornito però una marcia in più rispetto agli altri concorrenti più giovani, quando si è trattato di adattarsi al meglio ad ogni cambio di clima e di terreno.
Una competizione al limite
Picco ricorda bene gli esordi, quando correva con una bussola fissata sul manubrio e un rancio militare nello zaino. Quando l’intuito era tutto e le notizie arrivavano grazie ai collegamenti radio e alle agenzie stampa. Oggi la tecnologia permette di seguire le tappe in diretta e le moto sono dotate di veri e propri computer di bordo. La sicurezza è aumentata, ma il Rally Dakar resta pur sempre una gara estrema, purtroppo nota anche per il numero di incidenti mortali tra pubblico e partecipanti. Oggi però non c’è “ma” che tenga: il pilota vicentino, classe 1955, è entrato nella storia della Dakar.
(Foto: gentile concessione Ufficio Stampa Franco Picco)
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