La storia del bostrico, un coleottero autoctono che è diventato il flagello dei boschi italiani (questa volta non possiamo prendercela con la specie aliena di turno), inizia con la tempesta Vaia e diventa drammatica con la grande siccità dell’estate 2022.
Era il 28 ottobre 2018 quando Vaia, uno dei cicloni extratropicali più devastanti degli ultimi decenni, si abbatte su alcune regioni del Nord Italia, spazzando via più di 40mila ettari di boschi, facendo un paragone più immediato, parliamo dell’equivalente di circa 65.000 campi da calcio.
Stiamo parlando di venti che hanno raggiunto addirittura i 204 km/h, e per dare l’idea della potenza di questo ciclone, si è registrato un totale di circa 245.000 scariche di fulmini.
Per quanto riguarda la quantità d’acqua venuta giù, i dati parlano da soli: oltre 600 mm in tre giorni, che vuol dire la stessa quantità di pioggia che dovrebbe piovere in sei mesi. In termini economici, tutti i danni nel loro insieme sono stati stimati in circa 3 miliardi di euro.
A farne le spese sono soprattutto gli abeti rossi, una specie molto importante per gli ecosistemi alpini, ma anche molto vulnerabile.
Tronchi abbattuti, rami spezzati, radici strappate di circa 15 milioni di alberi giacciono a terra, diventando ben presto fonte di cibo per il piccolo bostrico la cui popolazione, nel corso di un paio di anni, cresce in modo esponenziale. Una volta terminato il cibo degli alberi schiantati a terra, un sempre più folto esercito di coleotteri si dirige sugli abeti sopravvissuti alla tempesta, in particolare gli abeti rossi.
L’insetto ha potuto mangiare tutto quel che incontrava anche perché la biodiversità del luogo non è stata rispettata. E a questo si sono aggiunti altri due fattori: le temperature sempre più alte e la siccità, che non hanno aiutato a interrompere la corsa del coleottero, perché hanno indebolito gli alberi e reso più forti le larve.
Complici dunque la prolungata siccità e le temperature sopra la media, gli abeti non riescono a difendersi lasciando campo libero al bostrico, che in diverse aree del Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia ha già colpito 34mila ettari di bosco. E purtroppo l’epidemia è destinata a continuare.
La storia del bostrico, questo insetto che trae profitto dal riscaldamento globale, ci insegna molto anche sul nostro rapporto con i boschi che, è bene ricordarlo, in Italia rappresentano il 40% della superficie nazionale. L’aumento delle temperature favorisce la moltiplicazione di questa specie, con inverni più miti che consentono ai coleotteri di sopravvivere e arrivare in primavera con una popolazione raddoppiata, passando da una presenza endemica ad una presenza epidemica.
Emerge in questa storia anche un tema strategico di gestione forestale. Questo insetto si espande in modo così capillare, perché è stata introdotta una monocoltura di abete rosso in contesti in cui sarebbero state necessarie anche altre specie, e questo è successo per ragioni economiche: l’abete è una pianta pregiata, ha un grande valore commerciale e cresce velocemente. Come ha evidenziato uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications le foreste in Europa sono in aumento, ma a crescere è anche la loro vulnerabilità alle tempeste di vento, a incendi e ad agenti patogeni, come appunto il bostrico. Per questo oggi è importante progettare i boschi di domani non solo tenendo necessariamente in conto gli scenari climatici che abbiamo a disposizione, ma anche imparando a gestire la loro evoluzione all’insegna di un maggiore equilibrio con l’ecosistema.
In conclusione, è stata la mano dell’uomo a trasformare il bostrico in una minaccia, l’idea stessa di guardare e plasmare la natura a nostro piacimento può rivelarsi fatale. Se non fosse per la coltivazione dell’abete rosso al di fuori del suo areale e per il cambiamento climatico, il bostrico rimarrebbe lì dove è sempre stato, senza interferire nell’ecosistema e senza provocare danni così estesi e potenzialmente catastrofici.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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