Arriva dall’America, ma anche in Italia la realtà delle foreste commestibili è sempre più diffusa: l’idea alla base è salvaguardare l’ambiente e rendere il cibo un bene accessibile e libero. Anche in città
Una delle principali cause della deforestazione è l’aumento della superficie delle terre coltivabili. Secondo l’ultima edizione del Rapporto sullo Stato delle Foreste nel Mondo, prodotto dalla Fao e dall’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, dal 1990 al 2020 sono andati perduti circa 420 milioni di ettari di foresta a causa della conversione di suolo per l’agricoltura o altri usi. Nonostante il disboscamento sia rallentato nell’ultimo decennio, è stato calcolato che ogni anno sono in media 10 milioni gli ettari di verde che scompaiono.
Eppure, già da qualche anno si stanno sperimentando progetti in controtendenza, non solo per favorire la piantumazione delle aree urbane, ma anche per cercare di creare un modello di agricoltura alternativa che preveda porzioni di città da destinare alla crescita di piante e frutti. Alla base di queste foreste commestibili c’è l’idea che il cibo debba essere una risorsa per la comunità, e che si possa ottenere in modo naturale e senza un eccessivo intervento dell’uomo.
La più grande food forest del mondo si trova a Seattle, nell’area di Beacon Hill, che gli dà il nome, e si estende su oltre ventimila metri quadrati dove crescono piante e ortaggi. L’idea è nata nel 2009 dopo una serie di incontri a tema che erano stati organizzati da Jenny Pell, esperta di permacultura, un sistema di progettazione del territorio in grado di integrare l’uomo con l’ambiente e i suoi elementi, cercando di soddisfarne i bisogni come cibo, fibre ed energia. L’inaugurazione della foresta è arrivata nel 2014, e oggi quello spazio è in grado di soddisfare il 5% del fabbisogno alimentare della popolazione di Seattle. Beacon Hill Food Forest prevede un’area dedicata agli alberi da frutto, con cespugli di bacche commestibili, vitigni e un altro spazio per gli ortaggi, ed è diventata anche un luogo di ritrovo con aree per bambini, per l’organizzazione di corsi e seminari e per consumare il proprio raccolto.
A New York, la Food Forest Swale è galleggiante: realizzata all’interno di un’imbarcazione sul fiume Hudson, è stata ideata dall’artista-attivista Mary Mattingly per dimostrare come sia possibile coltivare piante e frutti commestibili in ambienti urbani, e come si possano rendere accessibili a tutti, anche in un luogo come Manhattan. Il fatto di aver piantumato una nave e non un terreno è una risposta provocatoria alla norma che a New York vieta la coltivazione e la raccolta in qualsiasi terreno pubblico, della quale si chiede la modifica, in tempi di consumo consapevole e attenzione ambientale. Dal 2016 ad oggi, Swale ha avuto oltre 200mila visitatori, 800 tour guidati, 75 incontri con le scuole. Attualmente è in fase di ristrutturazione, pronta a riaprire al pubblico nel 2022.
Anche in Italia non mancano esempi virtuosi, da non confondere con i più diffusi orti urbani: perché l’idea di poter ricavare cibo da una foresta accoglie non solo una visione ecologista e di riscoperta della collettività, ma anche una concezione economica del cibo come bene libero e accessibile a tutti. I pionieri della sperimentazione sono stati i cittadini di Parma che, nel 2012, hanno realizzato la Picasso Food Forest, che oggi ospita 202 specie di piante diverse, oltre a 185 alberi e arbusti, su un terreno di 4.500 metri quadrati. La cura di questo spazio verde si basa su alcuni principi condivisi: nessun utilizzo di sostanze chimiche, valorizzazione delle erbe spontanee senza la lavorazione del terreno, utilizzo ridotto di strumenti a motore, compostaggio in loco degli scarti, irrigazione minima e incremento della biodiversità animale e vegetale. Le piantumazioni sono state effettuate secondo i sette strati vegetativi che si possono identificare in un bosco: gli alberi alti oltre dieci metri, gli alberi più piccoli, gli arbusti, lo strato erbaceo, il sotterraneo, lo strisciante di copertura e lo strato rampicante. Questa impostazione permette di utilizzare al meglio lo spazio e soprattutto di beneficiare delle relazioni che le piante hanno tra loro.
A Milano, invece, dopo la Food Forest dell’Ortica, zona est della città, nata nel 2015 da una discarica bonificata, l’associazione CasciNet ha lanciato un nuovo progetto per le aree agricole dell’area sud; mentre al Parco Nord è partita l’idea di uno spazio di 10mila metri quadri da piantumare ad arbusti e alberi da frutto, legno e medicinali, coinvolgendo anche i cittadini nella creazione – attraverso il sito Wownature -, che permette di scegliere un albero da piantare in cambio di una piccola donazione.
A Partinico, in provincia di Palermo, il progetto Food forest ha sposato la lotta alla mafia, perché la prima area adibita a foresta commestibile sorge su un terreno confiscato negli anni Novanta al clan Madonia, e affidato alla cooperativa sociale NoE, No Emarginazione, che ora si è messa in rete con la cooperativa agricola Valdibella. La piantumazione prevista è di 1.500 tra alberi, arbusti ed erbe aromatiche. E la speranza è che altre realtà siciliane seguano questa strada, in una Regione a rischio desertificazione per il 70% del suo territorio.
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