Michela Fontana. Nata a Milano, vive ad Arona (No). Ex insegnante di diritto, ex membro della Consulta femminile di Arona, ex Giudice di Pace. Da sempre coltiva il piacere di scrivere per fissare ricordi, emozioni, affetti. Partecipa al Concorso 50&Più dal 1993: nel 2000 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa e nel 2011 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la poesia.
C’era una volta una cicala, che un giorno di fine novembre si ritrovò con 25 euro in tutto in tasca, 40 sul suo conto corrente, tutto il possibile in gioielli pignorato al Monte di Pietà, un credito di 15 inaspettatamente non soddisfatto e quindi compensato con un immediato debito di 20 euro grazie ad una vicina di casa, un’invitata a pranzo per mezzogiorno e la necessità di riuscire a campare per altri due giorni (in attesa di prendere la tredicesima) e di offrire una ricca cena a Milano (già troppo procrastinata) a zia e cugina la sera stessa, cercando, se possibile, per assoluta necessità di decenza, di andare dal parrucchiere.
Indubbiamente la situazione non era rosea, essendo anche inibita la possibilità di chiedere prestiti ai colleghi, tutti in attesa del ventisette.
Sconsolatamente decise di andare in banca, per farsi un assegno scoperto (per due giorni)..
In questo contesto improvvisamente il postino suono…per una firma. Lei scese in jeans e pantofole, preoccupata che si trattasse della solita lettera non affrancata in modo giusto, per cui c’era ancora da pagare. II postino le diede un foglio lungo, che sembrava la reclame di un detersivo (chissà perché c’era da firmare, per fortuna gratis) e poi le disse un “tanti auguri”, che proprio sembrava senza senso, per cui insospettita guardò meglio il fogliaccio. Oddio: un assegno della Banca d’Italia di quasi XY euro, la liquidazione!!! Ma com’è efficiente questo Stato, chi l’avrebbe detto!!
Cosi com’era (pantofole, jeans più la prima giacca trovata) corse in banca (era ormai mezzogiorno) stringendo l’assegno nuovo e uno vecchio suo, da emettere a vuoto nell’eventualità che non la pagassero subito e le toccasse andare a Novara; subito chiese del Direttore. Era a tutti chiaro che si trattava di una tapina che chiedeva un prestito e il direttore era occupato. Visto che il tempo stringeva (figlio piccolo in procinto di uscire da scuola e invitata a pranzo), con aria spudoratamente indifferente, malgrado le gambe che tremavano e l’occhio del pazzo, si avvicinò con l’assegno buono alla cassa, dicendo: “Siccome ho fretta per ora verserei sul mio conto X mila euro e il resto lo vorrei in contanti”. La cassiera, ormai avvezza ai suoi versamenti miserabili, per poco non svenne e con un fil di voce disse che era possibile.
La notizia si diffuse, comparvero direttore e vice, forse, se non ci fosse stato il vetro di separazione, avrebbe meritato un baciamano, come una vera signora (senza pantofole); si decise un appuntamento per il giorno dopo, per stabilire l’investimento più conveniente.
Di corsa fece la spesa per il pranzo, spendendo quello che in genere serviva per quattro giorni e il figlio le chiese preoccupato quanti fossero gli invitati! Nel pomeriggio parlò in famiglia di migliaia di euro (peccato non averli visti tutti insieme nemmeno per un minuto e conservare solo una banale ricevuta!), pagò tutti i debiti, accantonò la cifra necessaria per spignorare tutto e per la cena a Milano, comprò i preventivati regali di Natale ai figli, verso la prima quota di beneficenza, si recò dal parrucchiere e cosi il contante se ne andò quasi tutto.
Parlando con i figli si rese conto che i ricchi sono proprio infelici, privati della gioia, della frenesia, del clima di follia di quel pomeriggio, loro che i soldi li vedono come niente! Nella notte tutti e tre dormirono poco, ma nessuno lo confessò La mattina dopo decise di recarsi in banca come una vera signora, dopo aver ritirato dalla sarta il cappotto blu della quasi suocera di un’amica rimesso a nuovo; per non portare pacchi, compì il tragitto fino alla sarta senza il cappotto vecchio, cosi poté ancora rilevare la giusta dose di commiserazione da parte dei passanti. Comunque in banca arrivò elegante. C’era il vicedirettore che le parlava di impieghi, interessi, titoli, quotazioni, scadenze, deposito e lei restava incantata a pensare alla parola magica Investimento. Quante volte l’aveva pronunciata a scuola e pretesa dagli allievi… guai chi non sapeva spiegarla… e solo in quel momento si rendeva conto che per lei in realtà era sempre stato un concetto astratto, dal contenuto distante anni luce… mentre invece doveva stare attenta.
Sapeva di gente che prima di decidere consultava esperti finanziari, giornali specializzati, parenti, amici… lei, da quando era in pensione, saltava con entusiasmo la pagina economica del Corriere e di consigli non ne voleva.
Cosi si ritrovò a scegliere, vagamente per sentito dire, i CCT (naturalmente lasciandoli in banca, per non perderli), mantenendo sul conto corrente poco più di 5000 euro, da far fuori nei due anni di attesa della scadenza dei titoli, per integrare la pensione, fare qualche viaggio e forse prestarli ad un’amica per rinnovare l’auto (con una ovviamente di seconda o terza mano).
Poi, scaduti i titoli, poco per volta avrebbe speso diligentemente tutto, pia o meno nello stesso modo.
I figli restarono un po’ sconcertati nel non veder daccapo niente in denaro, ma un’altra ricevuta, però si sentirono rassicurati dall’acquisto delle calze, un rossetto, il vino, delle nuove merende e dal fatto che la rottura dell’asse del water non avesse suscitato la solita tragedia. Quella sera si addormentarono tutti e tre con la coscienza del dovere compiuto e che le sorti del debito pubblico poggiavano sulle loro spalle.
La pensione. Avendo esaurito il liquido e non volendo incominciare subito, per decenza, ad intaccare il nuovo conto corrente, ben venne il 27, con la liquidazione dell’ultima tredicesima da parte della scuola. Nell’altra banca dove si recò per il prelievo della suddetta cifra, confidò all’impiegato suo conoscente di essere in pensione e forse fu un’imprudenza. Subito il solerte funzionario iniziò il discorso sul versamento diretto della pensione presso la banca stessa, che, per modica cifra, avrebbe provveduto a pagare Tim ed Enel e in più corrisposto interessi sul conto corrente che lei avrebbe dovuto aprire presso di loro.
Lei ascoltava compiacente e rassegnata, allo stesso modo di quando vengono i sedicenti studenti a vendere in casa cerotti e affini o i testimoni di Geova, coi loro libri e giornali e lei per tutto il tempo pensa cosa può comprare che costi meno, per cui a casa sua si ritrovano saponette che basterebbero ad un reparto ospedaliero. Questo è un omaggio alla sua giovinezza universitaria, quando si recava porta a porta a Milano, in corso Lodi e dintorni, per cercar di vendere libri. Non realizzava niente, ma in compenso trovava persone cordiali, che le offrivano il caffè, parlavano (specie le donne) dei loro problemi, l’ascoltavano, affidandole nel frattempo qualche bambino da accudire.
E cosi addio spasmodica attesa dell’avviso di pensione, sempre con l’ansia che fosse andato perduto, addio difetti di liquidità, code interminabili alla posta, che la istruivano, in mezzo a tanti pensionati, pia di un trattato di sociologia!
L’impiegato era soddisfatto per aver concluso il contratto (anche se amareggiato di fronte alla difficile confessione che il grosso, la liquidazione, era stato investito nell’altra banca proprio il giorno prima, ma c’era sempre qualche speranza per il futuro). Se ne andò contenta, con un secondo conto corrente e i figli rimasero sempre più sconcertati nel constatare che ormai quasi l’intero sistema bancario aronese posasse sulle loro spalle.
A questo punto c’è da chiedersi come mai, andando in pensione, la cicala sia diventata improvvisamente ricca, mentre in genere si parla di poveri pensionati (salvo i dirigenti, che esulano dal nostro discorso di Travet).
Credo che il punto sia tutto nell’impiego della liquidazione. Il marito che va in pensione, specie se con moglie casalinga, che, “lo dice la parola”, ha come interesse preminente la casa, impiega la liquidazione e i risparmi accumulati per comprarsi la dimora e, siccome la somma normalmente non gli basta, s’indebita fino oltre al 2050. Nel frattempo deve pagare interessi, rimborsare quote di capitale e la situazione si presenta tragica, tenuto conto anche della normale decurtazione del reddito.
Il discorso non cambia di molto se già è proprietario di casa, perché sorge il problema di ristrutturarla e di cambiare tutto l’arredamento, per cui, dopo un periodo in cui tutta la famiglia vive da baraccata, si trova senza un euro di risparmio, con qualche debito, ma in compenso con la cucina luccicante e “sterilizzata” al posto del caminetto a cui era tanto affezionato, con mobili modernissimi o finto antichi, invece di quelli di tutta una vita, pervasi di storia familiare e deve pure dire che è contento per non ammettere, neppure con se stesso, di essere stato un succubo fessacchiotto.
Le mogli che invece hanno lavorato anche fuori casa e sanno come sono sudate quelle liquidazioni in genere sono più prudenti nel privarsene tutto d’un colpo e anzi possono cadere nell’eccesso opposto, pure molto frequente: conservare tutto, addirittura risparmiare di più, abbassando il tenore di vita, perché “non si sa se domani potremo farcela con la sola pensione, data l’inflazione galoppante”.
Non parliamo poi di quelli che conservano tutto e continuano a risparmiare per l’eventualità di dover subire un’operazione, con il rischio di una grossa fregatura se in questo clima da “deserto dei Tartari” il ricovero non si verifica e muoiono “tranquillamente” di vecchiaia. Fatto sta che continuano nel frattempo a vivere da poveri pensionati.
Tornando invece all’impiego godereccio di noi cicale, mi viene in mente “Miracolo a Milano”, quando ai tapini baraccati viene concessa la possibilità di ottenere tutto quello che vogliono: c’è chi vuole comprare l’amore (l’unica cosa che non si può acquistare, se autentico), chi il cappotto con pelliccia. Signore, fa che io non cambi… Ma no, non mi pare: la stoffa per il giaccone nuovo, come preventivato, l’ho comprata al mercato, ho portato a riparare la vecchia TV portatile (anche perché così per un po’ respireremo, standone senza) al solito, per rinnovare l’arredamento mi sono recata da un amico, che mi ha dato gratis uno scatolone contenitore di cartone, togliendo la sua mercanzia. I bambini dal cartolaio continuano a comprare i quaderni che costano meno, non ci sono ancora state rivendicazioni di vestiti e giocattoli al di la del normale, anzi la figlia grande ha criticato l’esiguità della cifra destinata ai poveri. Spero che continueremo la vita di sempre… solo con meno sbalzi e patemi nell’arco del mese. Altrimenti, se c’è rischio di cambiare… allora il giusto finale di questa storia mi sembra essere: “La banca fu assalita dai rapinatori (più probabile della bancarotta, trattandosi del più solido istituto bancario del suo genere nel mondo, ormai tetragono anche all’eventuale scalogna che avrei potuto portare io con la mia presenza come correntista già da due anni) e naturalmente gli unici denari che non vennero restituiti furono i miei”. Questo per permettermi di continuare a essere come sempre e a godermi da cicala la vita giorno per giorno, senza “cose”, ma con tanti amici, divertimenti, occasioni vane di conoscenza ed accrescimento e soprattutto senza tentazioni di incoerenza.