Michela Fontana.
Nata a Milano, vive ad Arona (No). Ex insegnante di diritto, ex membro della Consulta femminile di Arona, ex Giudice di Pace. Da sempre coltiva il piacere di scrivere per fissare ricordi, emozioni, affetti. Partecipa al Concorso 50&Più dal 1993: nel 2000 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa e nel 2011 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la poesia.
Ero arrivato ad un punto di esasperazione abbastanza frequente in chi, come me, ha superato da un po’ la mezza età; ero proprio stufo delle solite beghe in famiglia e sul lavoro, serate con gli amici, avventure veloci e scontate, diversivi non più diversi… insomma dovevo staccare per un po’…un mese sabbatico. Quando lo dissi al direttore del quotidiano al quale collaboro regolarmente, con stupore trovai una persona disponibile… si vede che i miei ultimi articoli riproducevano una certa mancanza d’ispirazione. Così, libero da ogni incombenza, accettai l’invito di un collega di sparire in un suo monolocale sul lago. Condominio anonimo, quartiere periferico, silenzio e noia. All’imbrunire mi dilettavo di stare al balcone (II piano) per guardare la vita che scorreva… pressoché un deserto! Finalmente una sera fui attratto da una specie di fagotto che correva con circospezione verso i bidoni dell’immondizia situati nel cortile. Era incredibile come quell’essere fosse carico: sacchetto dell’organico, del vetro, dell’indifferenziato e, enorme! Quello della carta. La scena si ripeté qualche giorno dopo nel pomeriggio, così ebbi modo d’identificare il fagotto in una donna di ¾ d’età, buffa e attraente nel suo disordine, sconcertante nel genere di rifiuti che depositava, sempre guardinga. Appena sparita, mi avvicinai furtivo per controllare: organico poco (croste di formaggio, fondi di caffè, bucce di frutta), indifferenziato moltissimo e sbagliato: busta di salmone, contenitore di plastica di carne cotta, di minestre e verdure, anche lattine… la sciagurata! Ragguardevole il numero di bottiglie di vino, ma soprattutto sempre enorme il contenuto della carta. Ma cosa diavolo leggeva? Vidi, tra l’altro, che si trattava del quotidiano su cui scrivo, ma il compiacimento fu subito fugato dalla scoperta di molti articoli di un mio collega-rivale commentati con frasi entusiaste e punti esclamativi. Doveva trattarsi di una donna stupida, che non sapeva né leggere né cucinare. Chissà cosa avrebbe segnato sui miei articoli, ormai superati, data la mia assenza?! Macché, in vena di pulizie retrospettive, aveva buttato un pezzo mio di qualche mese fa, con questo commento: “stupidaggini conformiste”.
Ma chi si credeva di essere questa ribelle senza valore? Dovevo conoscerla per dirgliene quattro! L’occasione mi fu quasi offerta da una coinquilina che, esterrefatta, mi sorprese mentre frugavo tra l’immondizia, sempre furtivo. “Sto cercando un giornale che per sbaglio ho buttato”.
“Farà fatica, in mezzo a tutto quello che butta quella del V° piano, che intasa sempre il cassonetto!”. Quinto piano! Magari sulla targa della porta c’era un nome femminile, a meno che la tizia non fosse sposata… presumibilmente con un fachiro! Niente: cinque appartamenti con cognomi anonimi. Passarono alcuni giorni senza nessun gettito di rifiuti, mentre riflettevo sul fatto che un vero giornalista potrebbe costruire la vita degli altri attraverso l’esame della “monnezza”. Mi annoiavo, incontrai un collega che mi chiese cosa stessi facendo. “Tento di scrivere “una storia sporca”.
“Ti sei messo in congedo per darti al porno?”.
Spiegai il tutto e gli chiesi di procurarmi un falso distintivo del Comune per la raccolta differenziata. Dopo qualche giorno avvenne un fatto eclatante: nel bidone della carta erano apparse (strappate ed indecifrabili, ma con la scritta “giusto”) le soluzioni del sudoku degli ultimi giorni che a me non erano riuscite, ma soprattutto varie bollette tutte intestate e persino, un po’ spezzettato, il rendiconto della Banca… Ma era pazza o voleva farla finita?! Corsi al V° piano e suonai il nome indicato dal controcorrente. Mi aprì lei, piacevolmente in pigiama e accuratamente truccata. Le mostrai il distintivo e mi lasciò entrare: monolocale tipo il mio, solo più disordinato e con un maggior numero di libri.
“Sa che lei fa una raccolta differenziata tutta sbagliata? Non si mettono i contenitori di plastica tra i rifiuti non recuperabili!”.
“Mi hanno detto che se sono sporchi sì”.
“Già perché a lavarli manco ci pensa” .
“E adesso che mi succede?”.
“Devo farle la multa”.
“Oddio, posso pagarla a rate?”.
“Vediamo, posso soprassedere solo a due condizioni: una che mi dia la soluzione di questo sudoku e l’altra che mi spieghi perché ha scritto un commento tanto offensivo su questo articolo”. Le mostrai le mie copie intonse dei giornali e lei capì subito.
“Un giornalista in carne ed ossa! Ma che fortuna per me che scrivo solo dei piccoli pezzi su un giornale di provincia!”.
“Se vuole può toccarmi, ma perché quel commento?”.
“Perché era un articolo banale, non degno di lei che sa scrivere cose originali e condivisibili”. “Quandoquidem Homerus dormitat”. In effetti l’articolo era proprio stanco e inutile, si vede che stavo per andarmene per asfissia.
L’ex fagotto si riprese. “Piuttosto sa che lei, frugando nell’immondizia, viola la segretezza della corrispondenza tutelata dalla Costituzione?”.
“Finché si tratta di corrispondenza, non di “monnezza” ”.
“Già, ‘res derelicta’, ci penserò prima di agire”.
Fieri delle reciproche citazioni scoppiammo a ridere e proposi: “Che ne dice se cenassimo insieme? Ovviamente non da lei, ma dai POS del suo rendiconto, minuziosamente specificati, vedo che è esperta dei ristoranti della zona. La invito volentieri, così magari, magnanima, rinuncia alla querela!”.
Il tempo di cambiarsi, trasformandosi in una signora non più di ¾ d’età, ma piacente e spiritosa, ed eccoci a tavola! Non ricordavo di essermi sentito così bene, leggero, allegro, entusiasta. Mi venne pure da canticchiare “dal letame nascono i fior”, licenza poetica per non dire “immondizia”.
Passarono in fretta alcune ore e purtroppo ad un certo punto dovemmo interrompere l’atmosfera frizzante e felice, cacciati dal ristoratore. Camminammo sempre gioiosamente e, arrivati a casa, le proposi di fermarsi al II° piano, da me.
“Saliamo a piedi, tanto non sono stanca, così parliamo”. Arrivati, la cosa più allettante mi parve tentare di baciarla intanto che aprivo la porta. “Aspetta, saliamo da me”.
Altri tre piani, ma ne sarebbe valsa la pena! Ritentai l’avance: “Ammetti che dopo una serata così bella, c’è un’unica naturale conclusione per quest’incontro pazzo!”.
“Immagino che tu sia sposato, come tutti”.
“Come tutti”, ammisi un po’ mortificato.
“Ecco, vedi, da quando mi sono separata tanto tempo fa, ho vissuto delle storie con uomini sposati, storie appassionate, trasgressive, entusiasmanti all’inizio, ma poi difficili, faticose, anche tristi per sotterfugi e assenze. Ora non ho più l’età per buttarmi e poi domani devo partire per un lungo viaggio, per cui non ci sarà più neanche l’immondizia per tenerci in contatto. Dai, restiamo col ricordo felice di un incontro pazzo, come un regalo imprevisto alla fine”.
“Ma che schifezza di finale!?”.
“Mi pare in linea con quello che volevi scrivere, “una storia sporca”.
Ridemmo e ci abbracciammo a lungo, con tenerezza e complicità, senza seguito.
Scendendo le scale mi domandai se fossi più immalinconito per aver perso un’occasione incredibile alla nostra età o se invece mi sentissi sollevato per aver evitato il rischio di sotterfugi e fatiche ormai troppo pesanti. Noi due non lo sapremo mai.