Umberto Foggetti. Scrive per passione soprattutto prose e poesie. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Monteroni D’Arbia (Si).
Pentolina è un piccolo borgo medioevale posto su una dolce collina del Comune di Chiusdino (SI), le cui origini, probabilmente, possono risalire ad epoca etrusca data la forma circolare del paese.
Questo borgo, antico possedimento dei Pannocchieschi, fu acquistato nel 1850 dall’imprenditore Edoardo Bruno che lo restaurò costruendovi una grande villa bianca padronale capace di ospitare oltre la sua famiglia anche gli amici che venivano a trovarlo per ammirare la sua ricca collezione di dipinti di Macchiaioli (Fattori, Borrani, Cannicci, Signorini, Lega), delimitandolo con mura di cinta in pietra.
All’interno di questa recinzione creò delle officine per le principali mansioni artigianali (falegname, fabbro… ) necessarie per non dover dipendere da altri dato l’isolamento del luogo.
Nel 1908 la figlia Maria Bruno sposa il conte ferrarese Ildefonso Scroffa, un ingegnere agronomo. Inizialmente vanno a vivere a Ferrara nel palazzo Scroffa, poi si trasferiscono a Pentolina, mettendo al mondo cinque figli: Ugo, Maurizia, Carlo, Edoardo e Lodovico.
In quel tempo Pentolina era una grande fattoria (12 mila ettari) comprendente oltre al borgo, 42 poderi (coltivati a vigneti, oliveti, seminativi vari) e tanto, tanto bosco.
Nella maggior parte delle famiglie i “capocci” ed i figli maschi in età adulta lavoravano come dipendenti del Conte Scroffa. Alcune famiglie, tuttavia, coltivavano i poderi a mezzadria.
Il lavoro a Pentolina iniziava molto presto, alle prime luci dell’alba e terminava quando si faceva buio. Gli operai nelle officine artigianali e i contadini al lavoro nei campi, le donne alle faccende domestiche, agi animali da cortile e alla sorveglianza dei bambini.
La sorveglianza della proprietà, dei dipendenti e dei poderi era affidata a quattro guardiacaccia. Questi dovevano altresì impedire ai “cacciatori di frodo” di catturare la selvaggina (fagiani, lepri, cinghiali, …) presente nei boschi e organizzare battute di caccia guidate per i cacciatori regolari e paganti che provenivano dalle città vicine (Siena, Firenze).
Le battute guidate di caccia iniziavano all’alba e terminavano verso le 13 con un parco pranzo nel grande salone da pranzo della villa padronale in presenza dei conti Edoardo e Ugo e della contessa Maurizia.
Al centro del salone un grande camino rotondo con una serie di gratelle stracolme di cibi vari.
Il ricco e sfarzoso pranzo iniziava con un piatto di tagliatelle fatte a mano condite con sugo di cinghiale. Per secondo: costo liccio, fegatelli, bistecche e affettati vari. Il tutto accompagnato da ottimo vino rosso.
Al pranzo venivano invitati anche i ragazzi di Pentolina, i quali al termine provvedevano, per tradizione, a premiare sarcasticamente il cacciatore più scarso (quello col carniere più vuoto) con una “padella da cucina!” in riferimento alla sua scarsa mira… Da qui il termine padellare (= fallire il bersaglio).
Il “premiato” accettava a malincuore la padella e i conseguenti sfottò giustificandosi con scuse banali: “avevo le mani fredde”, “il sole contro”, “le cartucce bagnate” …. La delusione veniva poi superata con un applauso di incoraggiamento e con un brindisi benaugurante per la prossima battuta!
I boschi di Pentolina erano conosciuti da tutti non solo per l’abbondanza della selvaggina ma anche per la generosa produzione di funghi porcini, ovoli ed altri di ottima qualità!
Finché i mezzi di spostamento erano a piedi o in bicicletta o con animali, solo poche persone di borghi o paesi limitrofi si recavano in questi boschi alla ricerca dei funghi, ma con l’avvento delle automobili, moto e motorini, moltissime persone si sono spostate anche dalle grandi città vicine creando un enorme pressione antropica non più sopportabile dal sottobosco il cui ecosistema veniva disturbato o peggio distrutto da individui “ignoranti e incuranti” che utilizzavano rastrelli o raccoglievano funghi troppo giovani che non avevano ancora sporificato.
In conseguenza di ciò, i boschi di Pentolina iniziarono a depauperarsi sia come produzione funginea sia come ricchezza di fauna selvatica.
Per cercare di arginare questo degrado naturalistico agli abitanti di Frosini, Montebello, Piano della Feccia e zone circostanti venne l’idea di ricorrere alla leggenda del “mostro di Pentolina” risalente al febbraio del 1321.
Questa narra della disavventura capitata ad un tagliaboschi che recatosi nel bosco per tagliare un po’ di legna da ardere in inverno, gli si parò di fronte un grossissimo serpente con la testa d’uomo.
Questo mostro soffiava e urlava minaccioso, tanto da spaventare sia l’uomo che il mulo che aveva con sé. Il taglialegna cadde a terra, si rialzò e scappò precipitosamente senza preoccuparsi minimamente della propria legna. Anche il mulo si dileguò nel bosco.
Iniziarono le ricerche ma senza esito. Un decennio più tardi fu un cercatore di funghi che lo descrisse come un rettile nero, di almeno tre metri, con la testa umana. La bestia fissò a lungo l’uomo e poi scomparve veloce fra gli alberi.
Questa leggenda ha tante diramazioni: morto in un terribile incendio oppure sorpreso da un altro visitatore del bosco mentre mugolava strane e indecifrabili parole.
Tra il 1400 e il 1600 furono descritti molti attacchi del mitico mostro anche nei confronti di cavalieri e soldati. Tutti lo descrivevano nello stesso modo.
Da allora gli avvistamenti si moltiplicarono e alcune voci lo ritenevano capace di soffiare fuoco dalle fauci.
Qualche tempo dopo il bosco di Pentolina venne devastato da un grande incendio e i presenti affermarono di aver sentito delle urla strazianti in mezzo agli alberi.
Le attribuirono al mostro, presumibilmente bruciato vivo ma dal dopo guerra ad oggi si parla di nuove apparizioni di uno strano serpente nella boscaglia visto da cercatori di funghi e avventurieri quindi la storia non sembrerebbe affatto conclusa.
Il mostro di Pentolina era ormai diventato un archetipo del nostro parlare, quando ci troviamo di fronte a qualcosa di estremamente brutto, anzi, di sconvolgente.
“Oh, che ti è successo, c’hai una faccia: che hai visto il mostro di Pentolina?” Questa leggenda locale fu data in pasto ai giornali, prima locali poi regionali, la notizia di un grande e pericoloso rettile che si aggirava in una vasta area boschiva intorno a San Galgano.
La foto a corredo della notizia, scattata nei boschi di Pentolina, non era che un fotomontaggio di un ramarro, mezzo nascosto ed un po’ camuffato nell’aspetto con lo sfondo dei boschi.
La notizia arrivò a Firenze: fungaioli e cacciatori erano avvertiti … meglio trovarsi un altro posto …
Si narra poi che un giorno particolarmente affollato di pseudo-cercatori perlopiù fiorentini, due ragazzotti si misero ad urlare a squarcia voce: “via tutti, mettetevi in salvo perché siamo inseguiti da un mostro enorme! Aiuto, aiutooooo, … ”
A queste grida seguì un fuggi – fuggi generale tanto che nei giorni successivi il fatto fu riportato nella cronaca dal giornale “La Nazione” con il titolo a caratteri cubitali: “ATTENZIONE AL MOSTRO DI PENTOLINA”.
Oggi la fattoria di Pentolina è stata trasformata in un moderno e attrezzato Resort, meta turistica da marzo ad ottobre di olandesi, tedeschi, svizzeri…