Lia Fiorio.
Insegnante, mamma e nonna. Ora è in pensione e può dedicarsi ai suoi hobby: scrivere e dipingere. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Treviso.
La trovò al giardino pubblico, seduta su una panchina mentre accarezzava dolcemente un cagnolino randagio. Appena si era accorta della fuga, la figlia Lisa l’aveva cercata con ansia, percorrendo di corsa tutti i vicoletti dei dintorni. Poi era ritornata a casa per prendere la macchina e perlustrare una zona più ampia. I primi sintomi della malattia si erano manifestati molto tempo prima, poi è arrivata la diagnosi: Alzheimer! Quella malattia impietosa che, a poco a poco, rode il cervello.
“Guarda che bello questo cagnolino! E’ buono, sai, si chiama Perlin!”.
“Mamma, dai andiamo a casa, fa freddo e sei senza cappotto. Su sali in macchina!”.
“Sì, fa freddo, ma lei chi è? Portiamo anche Perlin, anche lui ha freddo”.
A casa, Lisa la fece sedere sulla sua poltrona con addosso un bel plaid di lana.
“Adesso ti preparo una bella rosadina calda, così ti ristori”.
La “rosadina” era una bevanda molto energetica a base di uovo, zucchero e latte, ricetta della bisnonna, che la nonna preparava per i bambini.
“Grazie mamma, com’è buona!”.
Perlin dormiva, accovacciato sulle sue ginocchia. Stette tranquilla per un bel po’, poi si mosse di scatto: “Alla mia bambola di celluloide si è staccato un braccio. Bisogna portarla dalla nonna perché me la ripari. Adesso però voglio andare in giardino a cercare le raganelle. Mi piacciono tanto così verdi e delicate. Sono buone, voglio fare una bella corsa sul prato”.
“Adesso non si può, vedi è quasi buio”.
“Allora ci sono i grilli e volano i maggiolini. Se ne prendo uno in mano mi fa il solletico”.
Era una bella giornata e Lisa decise di portare la mamma a passeggiare ai giardini. Camminavano lentamente gustando l’aria fresca e la vista dei grandi lecci che costeggiavano la via.
“Non girare, proseguiamo per questa strada, altrimenti non lo incontro”.
“Chi?”.
“Ma dai, fingi di non sapere, sai che io e la mia compagna di banco non chiamiamo mai per nome i nostri ragazzi del cuore. Anche lei è bella “cotta”. Ci raccontiamo i nostri segreti durante l’ora di matematica che è così noiosa. Quando lo vedo e ci salutiamo, lo ripenso per tutto il giorno e sono felice”.
Era accaduto di nuovo: Susi non si trovava. Lisa girò tutte le stanze chiamandola, e stava per uscire in strada. Fu Perlin che la trattenne, tirandola per la gonna, e che poi la guidò sul retro della casa, dove c’era l’orticello.
Susi, infatti, era là, stesa per terra.
Era inciampata su una grossa pietra e non riusciva a muoversi. Lisa l’aiutò a rialzarsi. Sembrava che non ci fossero grossi guai, ma era comunque molto sconvolta. La mise a letto e, per precauzione, chiamò il medico. Il tepore delle coperte e la camomilla calda la fecero ben presto addormentare. Quando, più tardi, arrivò il medico, Lisa dovette svegliarla.
“Ma perché lo hai mandato via? Eravamo così felici, là sugli scogli, in riva al mare. Si scambiava qualche parola, ma erano di più i baci e i silenzi… Lo hai mandato via! E adesso dove sono? Chi è questo signore che vuole sapere se mi sono fatta male?”.
Non aveva ossa rotte, solo qualche ammaccatura e, per quel giorno, ormai era meglio che stesse a letto. Abbracciava il cuscino e diceva: “Dai papà, raccontamene un’altra!”.
Quando era piccola, nei pomeriggi d’estate, papà faceva un pisolino con lei nel lettone e, per farla addormentare, le raccontava delle piccole storie inventate da lui. Queste storie avevano per protagonisti due ragazzini di campagna: Checo e Rosina. Susi ne andava pazza, ma spesso non riusciva a sentire il finale perché gli occhietti si chiudevano e lei, accoccolata vicino a papà, dormiva beata. Ora stringeva il cuscino e, calma e tranquilla, chiuse gli occhi e si addormentò.
Come i cerchi che vediamo nella sezione di un vecchio tronco mostrano gli anni trascorsi, dentro Susanna erano vive la bambina, la ragazza, la giovane. La malattia aveva confuso tutto, ma non le aveva rubato i suoi più felici ricordi.