Franca Fiordalice. Consulente aziendale, con l’hobby della fotografia e del teatro, partecipa al Concorso 50&Più per la settima volta: nel 2014 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la Fotografia, nel 2015 ha vinto la Farfalla d’oro per la Fotografia e la Superfarfalla e nel 2019 la Menzione speciale della giuria per la poesia. Vive a Roma.
Finalmente, era arrivato il tanto atteso momento: andare a comprare la miscela di caffè.
Il signor Alfonso si vestì, come dovesse andare ad un evento importante, mise la sciarpa rossa, prima di indossare il cappotto con il collo di astrakan, si aggiustò in testa, davanti alla specchiera in ingresso, il suo prezioso borsalino e uscì.
Era un tipo giovanile, ma il suo modo di vestire lo faceva sembrare più vecchio. Non si era mai sposato, aspettando la donna dei suoi sogni, ormai aveva quasi sessant’anni e ancora non era arrivata, ma con la perdita della madre, avere una compagna, era diventata una necessità per combattere la solitudine, che adesso si faceva sentire ancora di più.
Con passo deciso e veloce, si diresse verso la torrefazione, un negozietto conosciuto nel quartiere per la fragranza, che inondava la strada al momento della tostatura.
Il mare era calmo, indossato l’accappatoio sul costume, era salito sul gozzo, pronto a farsi cullare dal rollio delle onde.
Il profumo era inebriante e il solo faceva da padrone, riflettendosi sull’acqua azzurra.
Nunziatina aveva riempito il piccolo frigorifero, di ogni ben di Dio, sicura, che al suo padrone, in quella giornata, non sarebbe mancato nulla.
Gennaro aveva tolto la passerella e tirati dall’acqua i parabordi era pronto a salpare.
“Buongiorno don Alfonso”, declamò il commesso accennando un inchino, “la solita miscela?”.
”No, oggi vorrei cambiare”, rispose sommessamente, quasi parlasse fra sé e sé, “opterei per una miscela robusta, perché trovo il sapore più intenso e corposo, mi raccomando però, la polvere non deve essere macinata fina!”.
La scelta del gozzo era stata preparata a tavolino, buona stabilità, scafo veloce, la forma della carena elegante e raffinata, un tempo una barca sicura per i pescatori, che i maestri d’ascia l’avevano poi trasformata in una barca da diporto.
Tornando verso casa, con il suo pacchetto di” oro nero”, si fermò a comprare del cioccolato bianco, necessario per esaltare ancora meglio il sapore intenso del caffè e dei pasticcini obbligatori non solo per il te delle cinque.
Il rombo del motore, lo faceva sentire un condottiero, padrone del mare, in realtà, se non ci fosse stato Gennaro, le sue sensazioni sarebbero state ben diverse.
La costa ormai era lontana, il sole a picco rendeva l’aria calda e i colori del paesaggio marino carichi di luci, una leggera brezza rendeva l’atmosfera stregata, era arrivato il momento di spegnere i motori e godere del silenzio in mezzo a tanto splendore.
Donna Carmela aveva accettato volentieri l’invito e le aveva promesso che sarebbe andata da lui a prendere un caffè verso le cinque di quel pomeriggio. Don Alfonso prese l’orologio dal taschino e si accorse che mancava veramente poco.
Uscì sul terrazzino, per sistemare il tavolino di ferro battuto, che troneggiava vicino ad una bella pianta di limoni, aprì un cassetto del mobile nella sala da pranzo, prese una tovaglietta ricamata, che teneva gelosamente riposta in un cassetto per occasioni come quella.
Nella vetrinetta, in bellavista, c’erano delle tazzine, che per i non intenditori potevano sembrare d’altri tempi, ma il caffè si deve servire in tazzine di porcellana e non in quegli orribili bicchierini di vetro, come ora andava di moda.
L’appartamento, dove viveva, gli era stato lasciato in eredità dalla madre, persona deliziosa di una famiglia, che con il tempo aveva perso il suo splendore, ma non la nobiltà d’animo.
Nunziatina apparecchiò a poppa, con una tovaglietta a quadri, il tavolino d’emergenza della piccola imbarcazione, bicchiere di vetro e posate d’argento, come faceva in terra ferma da circa vent’anni., l’ombra del tendalino completava la scena.
In barca si doveva mangiare leggero: un paio di fette di pane con dei pachino tagliati a piccoli pezzi e un cucchiaino di olio, tanto per insaporire un po’ la pietanza, non doveva però mancare il dolce: un ghiotto babà grondante di rum.
Non era molto, che aveva comprato l’imbarcazione, aveva scelto il “gozzo sorrentino” costruito esclusivamente in legno, le aveva dato un nome originale: “e vai” in, realtà non avrebbe solcato grandi mari, ma la fantasia avrebbe arricchito il giornale di bordo.
Da bambino aveva letto tutti i libri di Salgari e solo da adulto aveva scoperto, che quelle avventure, erano solo virtuali, perché lo scrittore non si era mai mosso da Torino.
Alle cinque in punto apparve sull’uscio di casa, Donna Carmela, l’ospite aveva iniziato da poco il rito del caffè, e la cucumella era già sul fuoco.
Ormai tutti usavano le moderne macchine espresso, don Alfonso non era caduto nel tranello e ancora credeva, che solo così, si facesse il caffè più buono del mondo.
Forse il segreto era nell’acqua, forse nella macinatura o nella tostatura color “manto di monaco “, forse in quel cono di carta, che imprigionava l’aroma fino al momento che si versava nella tazzina.
“Accomodatevi donna Carmela”, disse ossequioso il padrone di casa, “ho preparato tutto sul terrazzino, accompagneremo il caffè con questi pasticcini e dei bocconcini di cioccolato bianco, che ho comprato per l’occasione”.
L’aroma aveva invaso la cucina, nel frattempo si erano accomodati sul terrazzino e Don Alfonso aveva iniziato a versare il caffè nelle tazzine di porcellana.
“Quanto zucchero?”. chiese alzando lo sguardo verso la ragazza: osservandola da vicino non riuscì a frenare le sue emozioni, i loro occhi si incontrarono, forse per la prima volta, da quando si erano conosciuti casualmente, nel negozio sotto casa, dove lei era stata assunta da poco. Il suo viso era circondato da lunghi capelli corvini, sorridendo aveva scoperto i suoi denti, perle finissime racchiuse dietro labbra carnose!
L’aveva subito attratto, quel suo modo gentile di porsi, nascondeva uno stile di altri tempi, che gli riportava alla mente; Rosaria il suo grande amore giovanile.
Si era fatto tardi, il tramonto l’avrebbe visto da casa, ordinò a Gennaro di togliere l’ancora, era ora di rientrare.
Nella caletta, dove si erano fermati, non c’era nessuno e don Alfonso, dopo il pasto, si era sdraiato al sole, e cullato dallo sciacquatio delle onde, che sbattevano contro la barca, si era addormentato, e ora si sentiva riposato.
Nunziatina aveva sistemato la cucina a bordo, raccolto le cose, che doveva scendere a terra, fu allora, che chiese a don Alfonso-prima di partire: “Vi preparo un caffè?”.
Lui accennò tristemente un sorriso “no lascia stare, lo facciamo a casa con la cucumella!”.
Quel caffè gli era venuto proprio bene, da manuale: aveva fatto bollire l’acqua a cento gradi, al momento giusto aveva girato la cucumella e aveva aspettato che l’acqua filtrasse la polvere; mentre lo versava, dalla tazzina di porcellana, saliva un profumo inconfondibile. Donna Carmela gli aveva fatto i complimenti, l’aveva gustato accompagnandolo, come gli aveva consigliato, con qualche pasticcino e alcune scaglie di cioccolato bianco, infine, dopo averlo ringraziato, aveva tolto il disturbo…. Ancora una volta, la tazzina di porcellana con dentro il caffè, non aveva fatto il miracolo sperato!