Gemma Ferro.
È nata a Torino e vive a Pietra Ligure (SV). Da sempre appassionata di poesia ha partecipato a diversi concorsi ricevendo premi e riconoscimenti. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta; nel 2021 ha vinto la Farfalla d’oro per la poesia e ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa.
Ho freddo. Lo scialle grande della nonna è scivolato giù dal letto, ma non ho il coraggio di andarlo a riprendere.
Sento l’alito tiepido e leggero della mia sorellina che mi fa solletico sul collo, tutta rannicchiata contro la mia schiena. È ancora piccolina e il suo corpicino non è abbastanza grande per trasmettermi calore.
Il vento scuote l’alberello davanti casa. I suoi rami spogli, come lunghe dita di una mano magra, bussano alla finestra, come volesse entrare a prendermi. Ma la finestra è chiusa.
Cerca di passare là, nell’angolo, dove il vetro è rotto. Non ci riesce e s’arrabbia con un sibilo. HO PAURA!
I miei genitori hanno smesso di fare la solita baruffa nel letto.
Poi papà si addormenta. Si ode il suo ritmico russare che, però, non riesce a tranquillizzarmi. Sento i singhiozzi della mamma, con la bocca contro il cuscino. Le mie guance si inumidiscono. Capisco, dal leggero rumore, che ha allungato la mano a dondolare la culla dell’ultimo nato. È l’unico posto che è sempre rimasto tiepido. Non l’ho mai visto vuoto.
Ora il vento si è chetato e i rami non bussano più. Un leggero chiarore mi lascia indovinare la sagoma della mobilia. Sono un po’ più tranquilla. Allungandomi, mi chino verso il pavimento e recupero lo scialle della nonna, allargandolo sul letto.
Devo cercare di dormire: domani ho scuola, fortunatamente il mio banco non è lontano dal termosifone e mi potrò scaldare.
La maestra mi dispensa sempre molta attenzione e mi fa leggere in classe, ad alta voce, i miei componimenti.
Mi raccomanda di leggere molto, però io, anche se mi piace, non ho tanto tempo, perché mi devo occupare della sorellina.
Mi ha pure regalato un quadernetto, dove, durante le vacanze, dovrei scriverci tutti i miei pensieri, le mie osservazioni e ciò che faccio. Il prossimo anno lo vorrà leggere.
Domani, forse, faremo il compito in classe. Ah! Che bello, domani… Domani…mani…Dooo…
I più fortunati della famiglia sono i due fratelli: dormono in cucina, dove è rimasto il tepore della stufa sulla quale si è cucinata la cena. Il maggiore è molto in gamba. Al mattino si mette in collo il fratellino, per condurlo a scuola per il suo primo anno.
E corre, va caracollando, con la cartella a tracolla che gli sbatte sui fianchi. Il piccolo ride, divertito.
Al ritorno attraversa la piazza, dove ogni mattina si svolge il mercato rionale. Riesce a rimediare qualcosa da portare a casa, insieme alle cassette di legno rotte, per alimentare la stufa.
Ieri è arrivato con due arance. Abbiamo messo le bucce sulla stufa: che buon profumo si è sprigionato nella cucina!
Quando sarò grande, comprerò tante arance, così profumerò sempre tutta la mia casa, come quelle dei bambini ricchi.
A questo fratello piace attraversare la piazza del mercato: si era fatto tanti amici. “Hei! Ragazzino, allora, questa mattina, quanti due hai preso a scuola?”. A parlare è Giors, detto così, ma il suo nome è Giorgio. Lo ha apostrofato così, ben sapendo che lui, invece, è intelligente e studioso. “Sì, ho moltiplicato per quattro, mica come te che non sai neanche fare due più due”. Altroché! Giors, come tutti i venditori del mercato, li sanno ben fare i conti, al di là della loro più o meno mancata istruzione.
Il Rosso gli fa solamente un cenno di saluto, intento com’è a risistemare la merce invenduta sul suo carretto. “Ehi! Su, dammi una mano, spingi!”. Poi gli regala un bel cespo di insalata un po’ appassita, ma molto gradita dalla famiglia.
È l’ora della fine del mercato, le tende multicolori sono ancora tese, creando una bella visuale. Viste dal terrazzo accanto al sottotetto, sembrano un grande mazzo di fiori, contornato dal verde degli ortaggi. Il ragazzo ricevette i complimenti dell’insegnante di disegno, quando gli propose come lo aveva rappresentato.
Egli si attarda a dispensare due carezze a Biro, il cavallo di Mariolino, che lo gratifica di una dolce occhiata per aver gradito il pezzo di carota che gli aveva offerto.
A differenza di come viene chiamato, Mariolino è un omone alto e corpulento, muscoloso, con labbra grandi e tanti capelli neri e ricciuti, le sopracciglia folte. Nascosti tra le sue villosità si intravvedono dei tatuaggi che lui dice di averli fatti in Legione Straniera, ma nessuno gli crede. Dall’aspetto incute un certo timore, invece è un gran brav’uomo.
All’arrivo dell’estate, senza più l’impegno della scuola, il ragazzo si reca ugualmente in quella piazza. Il suo arrivo è annunciato da un allegro fischiettare, tanto basta per dare un buongiorno, ad alleviare la fatica del lavoro. È ben accetto, perché gli viene sempre richiesto un aiuto, ben accordato, assai fruttuoso, per l’arrivo di belle mancette. Alla prima domenica di ogni mese, in quel luogo, prendono posto le bancarelle dei robivecchi. È incredibile la varietà degli oggetti che si possono vedere. Il nostro amico non se lo fa sfuggire, curiosando lo percorre tutto con interesse.
Un oggetto attira la sua attenzione. Il commerciante, visto il suo interesse, glielo propone, ma il suo “tesoretto” non è sufficiente alla richiesta. Dopo lunghe trattative, alla fine ce la fa. E se ne va contento soffiando allegramente, nell’ormai sua fisarmonica a bocca. La porta sempre con sé, nella tasca dei pantaloni e appena può l’estrae cercando di trarne dei suoni armoniosi. Sta imparando a modularli per imitare quelli che sta udendo: il vociare del mercato, i sonagli di Biro, gli zoccoli sul selciato, lo schiocco della frusta e il cigolio del carretto, un nostalgico canto lontano, il pianto di un bimbo e, ancora: un cinguettio, un miagolio, il fruscio dell’involto della carta…
Gegia (sta per Teresa) ne è incantata. È la più anziana di quel gruppo di ambulanti. Se ne arriva sulla bicicletta, con i manici delle ceste infilati nei manubri, colme di verdure dell’orto, con al centro le uova, ambite dalle massaie.
“Ormai sono vecchia e stanca – dice – faccio sempre più fatica a pedalare. Conto di mettermi presto a riposo, ma prima, voglio dirti una cosa: mi rincresce lasciare il mio banchetto che forse andrebbe perduto, ed ho pensato di regalarlo a te, compresa la mia cara bicicletta. Visto che sovente sei presente al mercato, credo che ne saprai fare buon uso. Sono certa che potremmo, con le mie verdure e la tua intraprendenza, ricavare abbastanza. La tua famiglia ne sarebbe contenta. Mi viene, però, un pensiero: vedo il tuo avvenire più brillante, la bravura nel suonare il tuo strumento, la tua creatività, sono portatori di un grande successo. Ne sono certa e felice. Ti faccio tanti auguri di cuore. Ah! Il tempo felice, quando con buonanima di mio marito, si andava sovente ai concerti!”. Il ragazzo non riesce a parlare commosso. Un saluto a fior di labbra e se ne va, lasciando Gegia ai suoi ricordi.
Passando vicino ai rifiuti, viene attratto da una insolita pila di riviste poggiate lì accanto. Ne guarda una e legge il titolo: “LA ROBOTICA OGGI”. Le raccoglie tutte e, a casa, le legge avidamente…