Il femminicidio è una forma di violenza profondamente radicata nella cultura e nella società. Un fenomeno che colpisce anche le più fragili ed invisibili: le donne anziane.
Dai dati dell’Osservatorio sul femminicidio del quotidiano la Repubblica, emerge che nel 2021 il 35% delle vittime aveva più di 65 anni. La cronaca degli ultimi mesi, poi, registra un elenco agghiacciante: Lorenza, 91 anni; Soccorsa, 90; Eleonora, 85. Una lunga lista di donne over 70 e 80 uccise da mariti, figli e compagni, tutti accusati di omicidio volontario. Dati che appaiono in controtendenza con quanto rileva l’osservatorio Eures nel 2020. Nell’anno peggiore della pandemia, infatti, si registra un calo complessivo degli omicidi, complici il lockdown e le ripetute chiusure parziali.
Femminicidi e donne anziane
Ma proprio questo isolamento imposto e claustrofobico ha di fatto incrementato gli assassinii familiari, le cui principali vittime sono le donne. Sempre più spesso anziane. Scorrendo i dati relativi al 2020 si possono infatti evidenziare due trend: un’impennata dei femminicidi – seguiti dal suicidio del responsabile – e l’innalzamento dell’età delle vittime. Un terzo di loro, infatti, ha più di 64 anni. Parla chiaro anche il report sugli omicidi della Direzione centrale della polizia criminale: dalla già alta percentuale del 30,3% di vittime over 64 nel 2019 si passa al 31,9% nel 2020. Effetto, appunto, dello “spostamento” degli atti criminali dalla strada alle mura familiari.
L’inchiesta della Commissione parlamentare
Nel 2020 la Commissione parlamentare sul femminicidio ha deliberato un’inchiesta sugli omicidi commessi negli anni 2017 e 2018. Obiettivo dell’indagine era quello di “fotografare” il fenomeno attraverso l’esame degli atti e dei fascicoli processuali, per indagarne maggiormente le cause e verificare l’efficacia della legislazione esistente in materia. Dai dati raccolti risulta che i quozienti più alti di femminicidi su 100mila casi si evidenziano nelle donne anziane e in quelle con un’età tra i 35 e i 44 anni. Ma, sottolineano gli analisti, il dato sulle over è particolarmente importante. Le anziane, infatti, hanno meno visibilità sui media e nella quasi totalità sono collegate al successivo suicidio del responsabile. Sono donne che non hanno un profilo social, spesso isolate, e vivono in una situazione di precaria fragilità. Tanto emarginate che, risulta dalle sentenze esaminate, gli atti di cui sono vittime di norma sono guardati con una certa indulgenza.
I falsi stereopiti
La famiglia in cui è maturato il crimine è spesso descritta come “molto unita” e il colpevole (uomo) è visto come il caregiver, di fatto o di diritto, che da tempo si cura dell’invalida. Le giustificazioni alla base del suo gesto criminale sono sempre le stesse: non tollerava più di vederla soffrire o non aveva più la forza per accudirla. Più spesso la pista di indagine cerca una grave motivazione economica o una spiegazione di natura psichiatrica che possano “legittimare” l’evento criminoso. Non solo. Più l’età del colpevole è alta, più si tende a spiegarne il comportamento. Una tendenza alla giustificazione, sottolinea il Rapporto, che confligge con qualsiasi norma giuridica volta invece a tutelare anziani e disabili, in quanto più vulnerabili.
Prevenzione: il ruolo dei medici di base
Raramente si indaga su possibili situazioni di abusi e maltrattamenti che avrebbero preceduto l’omicidio. A tal proposito il Rapporto suggerisce che un ruolo importante nella prevenzione dei crimini potrebbe essere assunto dai medici di famiglia. Dall’indagine risulta infatti che in molti casi le donne si erano confidate con loro per chiedere farmaci contro l’insonnia o contro gli attacchi di panico. Specie nel caso delle coppie anziane i medici di base conoscono la storia clinica del futuro femminicida, poiché ne raccolgono le confidenze circa il suo disagio.
Gran Bretagna: la strage silenziosa delle anziane
Certamente il fenomeno non è solo italiano. Anche gli osservatori di altri paesi, tra cui Israele e Canada, registrano una impennata di casi. In Gran Bretagna è in atto una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica su una strage spesso passata sotto silenzio. Dai dati ufficiali risulta infatti che nel Paese in un decennio (2009-2018) sono state uccise 1.425 donne: la metà di loro, tutte over 60, sono state vittime di figli, nipoti e parenti. L’ex poliziotta Jane Monckton Smith – una criminologa specializzata nei delitti di violenza domestica – denuncia: “L’invisibilità, la svalutazione e la derisione nei confronti della donna anziana si aggiungono alla misoginia quotidiana”.
La falla nella giustizia
La sua ricerca nei data base dei tribunali britannici evidenzia che la condanna dei partner che affermano di aver ucciso per amore è molto più bassa della media. Una percentuale elevata di giudizi riguarda gli “omicidi per misericordia”. Nel corso del decennio osservato, infatti, sono stati 27 gli omicidi così classificati: solo uno ha comportato la condanna all’ergastolo. In 10 casi l’assassino si è dichiarato colpevole di omicidio colposo e otto condannati sono rimasti a piede libero. Nelle aule di giustizia si tende infatti a far passare il messaggio che i killer sono in realtà figli amorevoli e mariti devoti che hanno agito per il bene della vittima. Un risultato, sottolinea Monckton Smith, dovuto anche alla mancanza di strumenti giuridici e di indagine adeguati.
Femminicidi e donne anziane: uno stigma sociale
Gli omicidi e gli abusi contro le donne anziane rientrano nella vasta casistica dei crimini di genere. In molti casi, appurano i dossier dei diversi Paesi, si sarebbero potuti evitare grazie alla prevenzione, semplicemente ascoltando le vittime. E raccogliendo le loro grida di aiuto: la richiesta di preferire il ricovero alle cure di un figlio o la convivenza pericolosa con un coniuge diventato aggressivo. O una denuncia di abusi mai presa in considerazione. Queste donne restano bloccate in una situazione drammatica, troppo spesso emarginate o ignorate per pregiudizio, stereotipi, mancanza di assistenza e ignoranza. Una parte di universo femminile che non può più essere stigmatizzata.
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