L’inizio della Fase 2, col servizio a domicilio e il take away, ha aperto uno spiraglio per bar e ristoranti ma, per molti, non basta a evitare il collasso di un settore messo a dura prova dal Covid.
Nonostante per strada ci sia chi si gode la prima colazione in compagnia – «Finalmente un caffè del bar, un caffè buono: quello di casa non è mai così» -, i conti non tornano. Specie per chi ha riaperto bottega.
Nel centro di Roma, da 4.000 a 100 caffè
Siamo a Roma, a due passi dal Senato, in un bar meta al solito di turisti e parlamentari. «Non si è visto ancora un euro – ci dice Raimondo Ricci, titolare dello storico Caffè Sant’Eustachio -. Le spese fisse ci sono e a noi chi ci aiuta? Da 4mila caffè a cento che ne facciamo oggi, vi lascio immaginare la perdita di fatturato». Ma non sono solo gli incassi a preoccupare gli esercenti: ogni impresa, seppure piccola, ha spesso dei dipendenti. «Io ne ho dodici, tutti in cassa integrazione e ad oggi non hanno visto un euro. A lavorare, siamo rimasti mia figlia ed io: bastiamo ed avanziamo». Una difficoltà che si riverbera su interi nuclei familiari che fanno conto su buste paga ancora mai pervenute.
La gestione familiare, l’unica che resiste
Ecco perché a riaprire sono state soprattutto le attività a gestione familiare. A raccontarcelo è Vincenzo Colao, titolare del ristorante Ripa 12, a Trastevere: «Abbiamo dovuto ridurre il personale: ho messo tre persone in cassa integrazione e siamo rimasti noi di famiglia al ristorante. Naturalmente non prendendoci lo stipendio, ma portando avanti quella che è l’azienda». È lui stesso a esprimere forti perplessità sui benefici dell’asporto: «È molto più sicuro consumare cibo consegnato a casa che mettersi in fila con altri davanti a un negozio nell’attesa che venga confezionato». Sta di fatto che, anche col delivery gli affari non è che andassero alla grande: «Nel weekend – momento di punta per le consegne – avremo raggiunto il 30% del fatturato». Mentre parliamo con questo esercente, passano gli uomini della Polizia Municipale: controllano e annotano le attività che hanno riaperto. «In tanti non ce la faranno a ritirare su la saracinesca – ci dicono -. È dura per tutti quelli che hanno accumulato debiti e oggi non sanno come ripartire».
Ingegno e take away per ripartire
Sta di fatto che, secondo stime Confcommercio, dal 4 maggio, circa un locale su dieci è riuscito a riaprire. E pur di non chiudere definitivamente i battenti, in tanti si sono ingegnati. Un modo per restare a galla senza però avere certezze sul futuro. «Abbiamo attivato la consegna a domicilio – ci racconta Lorenzo Farina, titolare del Duke’s ai Parioli -. Un servizio che non avevamo mai fatto prima. E siccome siamo piuttosto conosciuti per i nostri aperitivi, li abbiamo imbottigliati in massima sicurezza e li portiamo a casa dei nostri clienti». Una consegna del tutto particolare – cui assistiamo – e che avviene con un cameriere con tanto di tuba sulla testa. «Ci siamo reinventati: chi faceva il cameriere, oggi fa le consegne; chi lavorava come barista coordina le spedizioni». Quel che è certo è che i profitti non sono quelli di prima «ma è un modo per tenersi vicino i clienti».
E mentre andiamo online, vengono diffuse le novità relative al Decreto Rilancio. Prevedono riduzioni sulle bollette energetiche per piccole attività imprenditoriali e commerciali, nonché lo slittamento fino al 16 settembre per i pagamenti di ritenute, Iva, contributi previdenziali, cartelle esattoriali, rottamazione ter e saldo e stralcio. A ciò si uniscono contributi su affitti e a fondo perduto.
Misure che, si spera, siano in grado di scongiurare il lento declino del settore.
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